Mariano Rumor nel suo ufficio nel 1966 - Bruno Bruni/Fotogramma
Una nuova generazione politica di cattolici italiani, ispirata dalla dottrina sociale della Chiesa, si affacciò sulla scena pubblica italiana nel secondo dopoguerra. Il discorso sulle generazioni politiche, che pure sembra emergere oggi con grande attualità non è, in realtà, una novità del tempo presente. Di una “questione generazionale” si era infatti cominciato a parlare, all’interno del mondo cattolico, già quasi settant’anni fa. Anzi, «non deve stupire – scriveva, nel febbraio del 1952, il giovane esponente della Democrazia Cristiana, e futuro capo del governo, Mariano Rumor – che questo discorso delle generazioni politiche si faccia per il mondo cattolico in genere», perché questo problema non coinvolge altri raggruppamenti o movimenti politici «irrigiditi su posizioni schematiche e pregiudiziali«, ma è invece peculiare dell’ambito cattolico, proprio «per quella apertura verso l’ordine naturale delle cose e quindi dell’umano che è propria del nostro sistema e della nostra dottrina sociale cattolica».
Il dibattito sui problemi e sugli atteggiamenti politici dei cattolici italiani, non è dunque nuovo e, per Rumor, avrebbe avuto una maggior efficacia se fosse stato posto ed affrontato in termini di «generazioni politiche». Mariano Rumor, di cui nei giorni scorsi nella sua Vicenza è stato commemorato il trentesimo anniversario della morte, avvenuta il 22 gennaio 1990, fu membro di spicco della cosiddetta seconda generazione democristiana. Formatasi nell’ambito dell’associazionismo cattolico e dell’Università Cattolica nel periodo compreso tra le due guerre mondiali, questa nuova generazione di politici cattolici rinvigorì il partito andando ad affiancarsi alla prima, costituita dagli ex popolari, perseguitati dal fascismo e riuniti, negli anni Quaranta, attorno ad Alcide De Gasperi, nella fondazione della Democrazia Cristiana. Rumor, che aveva avviato nel nativo Veneto il suo impegno politico, dopo la partecipazione alla Resistenza, fu tra i fondatori e dirigente delle Acli vicentine, e grazie a questa concreta esperienza maturata sui problemi del mondo del lavoro, nella seconda metà degli anni Quaranta collaborò in Parlamento con Giorgio La Pira, e con l’allora ministro del Lavoro Amintore Fanfani, stabilendo rapporti di amicizia anche col fondatore della Dc, Alcide De Gasperi.
Fu sempre in questo periodo che Rumor conobbe Giovanni Battista Montini, allora sostituto in segreteria di Stato, ed ebbe dal futuro pontefice l’incoraggiamento a proseguire il suo impegno politico nella Democrazia Cristiana. Anche in seguito, ed in particolar modo durante gli anni del pontificato montiniano, Rumor trovò sempre in Paolo VI sincera stima, fiducia e sostegno. Negli anni Cinquanta proprio Rumor sarà tra i maggiori artefici del rinnovamento della Democrazia Cristiana, nella veste di vicesegretario unico, affiancando il segretario Fanfani nella gestione del partito. Fu in questo contesto, e per merito del suo decisivo impulso, che vennero organizzate le prime Feste dell’amicizia, momenti conviviali di incontro, dibattito e confronto dei dirigenti nazionali con gli iscritti e i militanti che, da allora, saranno ripetute annualmente, fino alla conclusione della vicenda democristiana. Tuttavia la fine della segreteria di Fanfani, dimissionato all’inizio del 1959, contribuì a ridisegnare la topografia del partito. Da questa frammentazione nacque la corrente dei dorotei, così chiamati dal nome della Casa delle suore dorotee, situata a Roma, alle pendici del Gianicolo, in cui si riunirono i democristiani più moderati insoddisfatti da Fanfani, tra cui proprio Rumor insieme, tra i più noti, ad Aldo Moro, Benigno Zaccagnini, Emilio Colombo, Flaminio Piccoli e Paolo Emilio Taviani.
Il termine doroteo divenne da allora, nell’articolato e gergale lessico politi co nazionale, sinonimo di una moderazione quasi imperturbabile, di una speciale attitudine alla mediazione, di una costante ricerca dell’equilibrio, di una cauta e prudente gestione del potere politico e di un’inusuale capacità di tessere rapporti, stringere accordi e raggiungere convergenze all’interno del partito, tra le sue varie correnti e, al di fuori di esso, con le forze politiche alleate. Se Aldo Moro fu il primo segretario della Dc e poi il primo presidente del Consiglio espresso dai dorotei, Mariano Rumor, forse più di ogni altro, fu colui che incarnò l’anima più genuina della corrente. Nel gennaio del 1964 proprio Rumor sarà eletto segretario della Democrazia Cristiana, ruolo che considerava «congeniale» a sé perché rispondeva alla sua naturale vocazione alla «cucitura» di intese in un partito che, secondo lui, andava scoperto attraverso le sue correnti, ognuna «espressione di posizioni dialettiche ben definite», delle quali toccava infine al segretario elaborarne la sintesi politica. Indubbiamente il momento più alto della sua quinquennale esperienza alla segreteria del partito fu il grande convegno organizzato dalla Democrazia Cristiana a Lucca nell’aprile del 1967 su “I cattolici italiani nei tempi nuovi della cristianità”, un’iniziativa che vide il contributo e la partecipazione attiva di molti intellettuali cattolici tra cui Gabriele De Rosa, Vittore Branca, Sergio Cotta e Vittorino Veronese. Quell’incontro si rivelò un necessario momento di dibattito e riflessione sul ruolo e l’ispirazione del partito in un contesto sociale che stava rapidamente mutando, anche alla luce delle nuove acquisizioni conciliari. In quell’occasione, con una sorprendente antiveggenza, la Democrazia Cristiana, guidata da Rumor, colse e percepì i rischi connessi all’avanzare di una nuova società, sempre più “tecnologica”, nella quale, per la prima volta, era lo spirito scientifico e non gli ideali o l’astratta ideologia a condizionare il mondo, mettendo in crisi la coscienza dei credenti. L’anno seguente, nel dicembre del 1968, Rumor divenne capo del governo, in un momento molto difficile, mentre il Paese era scosso dalla contestazione giovanile e dalle agitazioni sindacali.
Ma proprio nel biennio in cui fu presidente del Consiglio, tra il 1968 e il 1970, il politico veneto riuscì a raggiungere degli importantissimi risultati, attesi per lungo tempo dalla nazione: dalle leggi di attuazione delle Regioni a statuto ordinario, alla riforma della giustizia ammi-nistrativa, fino alla fondamentale promulgazione dello Statuto dei lavoratori, varato insieme al ministro del Lavoro, il democristiano Carlo Donat-Cattin, a seguito delle forti proteste di operai e sindacati, nell’autunno caldo del 1969. Due avvenimenti tormentarono l’uomo di governo e l’uomo di fede: come presidente del Consiglio infatti dovette fronteggiare con sgomento la terribile strage di Piazza Fontana, avvenuta a Milano il 12 dicembre del 1969 e, nei mesi precedenti e successivi, toccò al suo governo gestire l’iter parlamentare della legge sul divorzio – subita dal cattolico Rumor con sofferenza e forte disagio interiore – a cui fece seguito il varo della normativa sul referendum. Sarà proprio Rumor, richiamato alla presidenza del Consiglio nel luglio 1973, ad accompagnare il Paese verso la prova referendaria per l’abrogazione della legge istitutiva del divorzio, il cui esito contrario, inatteso nelle sue proporzioni, rappresentò una lacerante sconfitta per la Democrazia Cristiana, rendendo esplicito quel latente processo di secolarizzazione che da diversi anni stava pervadendo la società italiana.
Anche il suo governo risentì le conseguenze della sconfitta sul divorzio e i risorti contrasti con i partiti di sinistra alleati della Dc, (Psi e Psdi), lo indussero alle dimissioni nell’estate del 1974. Coinvolto e poi prosciolto da ogni accusa nell’ambito dello scandalo Lochkeed, Rumor preferì allontanarsi dalla scena politica nazionale impegnandosi invece sul piano internazionale, come ministro degli Esteri (fu lui a firmare il trattato di Osimo con la Jugoslavia che poneva definitiva soluzione alla sospesa questione di Trieste) e nella veste di presidente dell’Unione mondiale dei democratici cristiani. Pur essendo stato per decenni un protagonista di primo piano nella storia della Democrazia Cristiana e nelle vicende politiche del Paese, Rumor non si prestò mai alle facili definizioni esemplificatrici attribuite dalla stampa ad altri suoi colleghi di partito. Forse perché Mariano Rumor, che apparve uomo mite e affabile, sempre incline ad un pacato dialogo, rappresentò, in fondo, con la sua duttilità, il suo equilibrio, la sua moderazione e con un instancabile capacità di mediazione, l’espressione, nel suo complesso più autentica, della Democrazia Cristiana.