Sono i giorni concitati dello scandalo Mps. La magistratura scartabella i bilanci della banca più antica al mondo - vecchia gestione - e spuntano come funghi operazioni finanziarie oscure dai nomi seducenti o inquietanti. Ce n’è per tutti i gusti: 'Santorini', 'Alexandria', 'Cheyne', 'Anthracite'… Chiediamo lumi, per provare a galleggiare in questo mare di matematica sofisticatissima, a uno che di algoritmi e soldi se ne intende. Anzi: di matematica spalmata sulla finanza, dicono, Paul Wilmott sembra capirne come pochi al mondo. Il Financial Times lo considera 'un insegnante di culto', per il Sunday Business è addirittura 'il Mozart dell’industria finanziaria'. In gergo mister Wilmott è un 'quant', emulo del primo e più grande fra tutti, Fisher Black, esperto a un tempo di modellistica fisica, strumenti matematici e capacità computazionali applicati alla finanza. Solo che, a differenza dei confratelli quantitativi, questo londinese tranquillo, figlio di un contabile e di un’imprenditrice, è un 'quant ribelle'. Wilmott risponde subito alla richiesta di aiuto. Ma quanto adduce è di primo acchito spiazzante: «Mi spiace, non è proprio la mia materia», si scusa. Vorrebbe darci una mano, aggiunge, ma la questione è troppo complicata: «Non capisco - afferma - non so». Potrebbe anche suonare come un diniego cortese. In realtà, avendo in mente chi è Paul Willmott, emerge tra le righe un atteggiamento in linea con la battaglia che 'il quant ribelle' conduce da oltre un decennio contro la deriva matematizzante della finanza. Una guerriglia all’ultima formula culminata in un vero e proprio 'Manifesto' firmato nel 2009 insieme al collega Emanuel Derman, all’epoca direttore del Master in Ingegneria finanziaria alla Columbia University, un sessantenne sudafricano laureato in fisica delle particelle e soprannominato perciò 'l’Einstein di Wall Street'. Il pamphlet riecheggia sin dall’incipit il celeberrimo antesignano. Anche il 'Manifesto dei modellizzatori finanziari' si apre infatti raccontando di uno spettro che si aggira per il mondo. Non perseguita i lavoratori - in prima battuta, almeno - , ma i nuovi investitori: «Lo spettro della mancanza di denaro, del congelamento dei conti correnti, e del fallimento dei modelli finanziari». Pure Wilmott e Derman immaginano una 'rivoluzione', in questo caso epistemologica, contro cultura e pratiche all’origine dell’ultima grande crisi globale: «I modelli familiari di valutazione - sostengono - sono diventati inaffidabili. Nonostante ciò, tutti gli operatori del rischio hanno ascritto le proprie perdite a uno tsunami irripetibile». Ecco perché, suggerisce il loro Manifesto, i veri analisti quantitativi dovrebbero sottoscrivere una sorta di giuramento d’Ippocrate. Cinquantadue anni poco scalfiti, Wilmott ha fatto da giovane fortuna con i numeri. Studente a Oxford si pagava la birra esibendosi per strada con le clavette da giocoliere. Poi ha fondato diverse imprese applicando gli algoritmi alla finanza, compreso l’hedge fund da 170 milioni di sterline chiuso nel 2005 dopo il ritiro dei soci. Oggi passa buona parte del tempo in famiglia e dirige la rivista più costosa al mondo: ci vogliono 600 dollari per abbonarsi ai sei numeri del Wilmott Magazine. La scorsa estate è uscita una raccolta degli articoli più brillanti comparsi negli ultimi 10 anni. Il bimestrale di satira e finanza ospita spesso editoriali di matematici ed economisti di fama mondiale. Geni dei numeri, precisa Wilmott, «che hanno preferito guadagnare soldi piuttosto che ricevere il Nobel». Come Edward O. Thorp, che scoprì per primo il modello matematico con cui battere il croupier a Blackjack, ma si è visto soffiare il brevetto. Di questo ne sa qualcosa la Columbia University, «maestra indiscussa - a detta di Wilmott - nell’accaparrarsi le idee di altri al fine di goderne i diritti». Se non è in viaggio (per piacere, con la famiglia, moglie e due figli, Oscar e Zachary, entrambi col pallino dei numeri) tiene conferenze - è stato anche ospite al Festival della Letteratura di Mantova - , cura il suo blog, insegna e non smette di stigmatizzare quello che spiegò in un famoso articolo del 2000, il cattivo uso e l’abuso della matematica nella finanza ('The Use, Misuse and Abuse of Mathematics in Finance'). Fu in quella pubblicazione che Wilmott spiegò per la prima volta come persino il colosso Procter&Gamble si fosse fatto fregare e quasi mettere in ginocchio dai derivati. Perché i suoi manager strapagati non erano in grado di leggere tra le righe (e le formule) i termini di quella che si sarebbe presto rivelata una scommessa persa. Wilmott dimostrò come tali previsioni astruse e potenzialmente disastrose fossero in realtà intellegibili grazie a semplici 'back-of-an-envelope calculations', i cosid- detti 'calcoli sul retro della busta'. I conti della serva, insomma.
Nello stesso articolo paventava un collasso dei mercati finanziari guidato proprio dagli 'abusi' matematici, tracollo che puntualmente si verificò otto anni dopo, ed ebbe quale epilogo la drammatica bancarotta di Lehmann Brothers. Nello splendido documentario Quants: The Alchemists ofWall Street , scritto e diretto da Marije Meerman, Wilmott si lascia andare a una fugace autocritica: «Forse avremmo potuto fare di più». Come? «Intervenendo quando tutto è iniziato». «Quando» sono i primi anni Settanta. Fu l’inedito modello di Merton-Black-Scholes a inaugurare l’era della matematizzazione in finanza. Una vera e propria rivoluzione. Oltre a mettere in campo i tipici strumenti della fisica matematica - come il tempo continuo, i processi stocastici e le equazioni differenziali - il modello ha unificato le metodologie di valutazione dei prezzi e dei rischi. La valutazione degli asset , cioè, ha iniziato ad essere utilizzata anche per misurare i rischi connessi agli investimenti, mentre l’analisi dei rischi ha cominciato a sfornare una ridda di algoritmi capaci di assegnare un prezzo agli asset . Sono proprio i modelli e le formule con cui viene assegnato un prezzo ai prodotti derivati che Wilmott smonta uno dopo l’altro durante il corso di 'Finanza quantitativa' che tiene ormai da anni nel cuore della City. Per stanare i quant e dare una sveglia all’intero sistema. Perché «quello che una volta era un business da gentiluomini - scriveva Wilmott già nel suo primo lavoro - è diventato un gioco per giocatori». E i giocatori sono tecnicamente sempre più sofisticati. «Negli anni Settanta - sostiene - avrebbero studiato Storia ad Oxford. Negli anni Novanta era diventata invece quasi una moda per le banche d’affari assumere i cosiddetti 'East-end barrow boys', i perditempo dell’East End, spesso privi di educazione universitaria, ma con grande istinto per gli affari e pari sfrontatezza». Serve «gente fiera, furba e attenta», ghignava Gordon Gekko nel film Wall Street . Dal 2000 la ribalta è infine tutta per i quants : «Solo quelli con un PhD in matematica sono ormai in grado di maneggiare la complessità dei mercati finanziari». Su questo cambio di paradigma Wilmott ha iniziato a interrogarsi sin dai tempi di Oxford, quando studiava matematica e prese un dottorato in meccanica dei fluidi. Ed è diventata quasi un’ossessione compagna dei tanti interessi curiosi. Al college, prima di 'quantizzarsi', aveva disegnato un modello che analizzava la velocità e l’efficienza di un rasoio a doppia lama. In seguito ha congegnato turbine per il produttore di jet Rolls Royce, fondato società, fatto l’editore, tenuto corsi e conferenze sulla finanza quantitativa. Ma Paul Wilmott non è mai andato a lavorare per una banca.