I due protagonisti dell'ultimo film di Pupi Avati - .
Un film sull’inevitabile fallimento dei nostri sogni, su un tempo che attraverso lo sguardo del regista si fa straordinario perché avvolto dalla dolcezza e dalla malinconia dei ricordi, su un percorso umano che assomiglia a quello di tutti noi. A pochi mesi dal suo Dante, Pupi Avati torna sul grande schermo con un nuovo film, La quattordicesima domenica del tempo ordinario, che rimanda al periodo del calendario liturgico situato tra la Quaresima e l’Avvento. Quel tempo tra primavera ed estate in cui ci si sposa. Ed è lo stesso Avati a essersi sposato nella domenica del titolo: era il 24 giugno 1964. «Quello del matrimonio è stato il giorno più felice della mia vita, dopo una rincorsa un po’ dantesca durata quattro anni. Ero riuscito a conquistare quella che io consideravo la ragazza più bella di Bologna, che mi avrebbe garantito la felicità per sempre: con lei accanto non avrei avuto bisogno di niente altro. Un giorno speciale quello delle nostre nozze, un incontro che ha prodotto gioie e dolori, felicità e rammarico».
La storia del suo film Avanti l’aveva immaginata oltre quindici anni fa. La quattordicesima domenica del tempo ordinario è il titolo di una canzone, l’unica incisa da Marzio e Samuele, amici per la pelle che, giovanissimi nella Bologna degli anni Settanta, fondano il gruppo musicale I Leggenda sognando il successo. Oltre a loro c’è Sandra, il fiore più bello di Bologna, che aspira a diventare indossatrice e sposa Marzio. Da quel momento in poi tutto sembra possibile, ma un giorno all’improvviso arriva un vento ostile che spazza via tutto. Trentacinque anni dopo, i tre protagonisti sono impegnati a fare i conti con le proprie vite, gli errori commessi e i sogni infranti.
Il regista Pupi Avati - .
Prodotto da Duea e Minerva Pictures, nelle sale con Vision Distribution dal 4 maggio, il film nasce proprio da una fantasia di Avati che ha cominciato a immaginare cosa sarebbe accaduto se l’unione con la donna della sua vita si fosse interrotta fino a un nuovo incontro, qualche decennio dopo.
«Il film – dice il regista – parla molto di me, di momenti e persone che hanno a che fare con la mia autobiografia. Tranne il western ho frequentato tutti i generi, ma avevo la sensazione che nella mia filmografia non ci fossero un film così sincero. Sono stato molto eclettico nella mia carriera, eppure mancavano alcune confidenze. Ho cercato di armonizzare temperature e note per evitare auto-celebrazioni ed auto-compiacimenti, sebbene si tratti della storia di un fallimento. Si, perché siamo tutti dei falliti rispetto ai nostri sogni, che si spingono sempre molto oltre i risultati che raggiungiamo. Alla mia età poi è forte la necessità di assicurarsi che gli altri ci assomiglino. E se qualcuno ha una sensibilità che assomiglia alla mia non può restare indifferente alla mia vita, perché raccontando la mia vita racconto anche quella degli altri. È questo il compito e dovere di chi dispone di uno strumento eccezionale come il cinema».
Il film ha riportato Avati nella sua Bologna e gli ha permesso di riflettere anche sulla figura paterna, che a Pupi è venuta meno sin da adolescente (suo padre è infatti morto all’età di 40 anni) e che questa volta gli ha suggerito l’improvvisa nostalgia per un’assenza di cui non si era accorto in tutti questi anni. Un’assenza a cui ha dato corpo e voce Cesare Bocci. E a proposito degli attori, il regista ha vinto ancora una volta la sua scommessa dimostrandosi coraggioso e lungimirante talent scout, sempre pronto a puntare su volti ancora sconosciuti e su attori di grande fama in ruoli inediti. «Il mio obiettivo è sempre quello di allungare la panchina del casting, attingendo a un bacino di interpreti molto più ampio», ha detto il regista. Per questo nei panni di Marzio e Sandra ci sono Lodo Guenzi, cantante del gruppo Lo Stato Sociale, e la debuttante Camilla Ciraolo, ex allieva di Pupi in un corso di recitazione, mentre Gabriele Lavia, uno dei grandi protagonisti del teatro classico, ha ritrovato Avati a quarant’anni da Zeder.
Per il regista invece chiamare Edwige Fenech, ex star della commedia sexy, nei panni di una Sandra matura, costretta a guardare in faccia fragilità e fallimenti, è stata una vera “provocazione”. «Non potevo non scegliere l’attrice più bella degli anni Ottanta in un film in parte ambientato in quel decennio. Quando ci siamo confrontati con la produzione proponendo il suo nome, abbiamo suscitato un po’ di sconcerto. Era accaduta la stessa cosa quando abbiamo scelto Renato Pozzetto e Katia Ricciarelli».
«A sette anni dalla mia ultima interpretazione – dice invece la Fenech – non mi aspettavo più di tornare a fare cinema. La chiamata di Pupi è stata una vera gioia e ho pensato che i sogni si realizzano. È un ruolo che desideravo da molto tempo in questa fase della mia vita, così come la possibilità di confrontarmi con una immagine diversa dalla mia». Nel cast anche Massimo Lopez, con cui Avati voleva lavorare da tempo per affidargli un personaggio drammatico, e Nick Russo, che interpreta Samuele da giovane.