Quando Giuseppe Siri nel gennaio del 1953 venne creato cardinale aveva meno di 47 anni, ma già dal 1944 era ausiliare e dal 1946 arcivescovo di Genova. Il decano dei porporati della Penisola era il 73enne benedettino Alfredo Ildefonso Schuster, che dal 1929 occupava la cattedra di Sant’Ambrogio a Milano. Siri avrebbe guidato la diocesi del capoluogo ligure fino al 1987, partecipando a tre conclavi e avendo un ruolo di primo piano nelle vicende ecclesiali ma anche politiche del nostro Paese. Schuster sarebbe invece morto nel 1954 in odore di santità, tanto che nel 1996 Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato. Il giovane e dinamico Siri, quindi, e l’anziano e ascetico Schuster si ritrovarono insieme nel Sacro Collegio per non più di un anno e mezzo. Eppure i rapporti tra i due, a dire il vero ancora poco studiati, erano profondi e di antica data. Anche di questo, ma di molto più ancora, si parlerà nel convegno su «Giuseppe Siri. Chiesa, cultura, politica da Genova al mondo» che viene inaugurato oggi a Roma con un saluto del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, già successore di Siri sotto la Lanterna, e che si concluderà venerdì (domani è previsto l’intervento del cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei).La profonda stima nutrita dal decano Schuster nei confronti della "matricola" cardinalizia Siri è testimoniata da un paio di biglietti autografi, inviati dal primo al secondo, rintracciati dallo storico Paolo Gheda, uno degli animatori del convegno che si apre oggi. Si tratta di cartoline di auguri natalizi, ma fuori dalle «forme protocollari» e con giudizi di sostanza. Il primo dei due autografi, ancora inediti, risale al 2 dicembre 1952 ed è di poco precedente la creazione cardinalizia di Siri (del 12 gennaio successivo). In esso Schuster si chiede: «Chi sa che cosa vorrà il Signore dal suo giovane mons. Siri, che di gradino in gradino ha sollevato così celermente al fastigio della Chiesa?». E continua: «"Dabit tibi Dominus intellectum". Oggi, la Chiesa ha soprattutto bisogno d’un gran senso di soprannaturale, di virtù evangeliche e di Clero veramente illuminato e competente. La cura d’anime non può essere più un "Beneficium", ma un grave "onus"». Il secondo biglietto inedito scovato da Gheda risale al 16 dicembre 1953. In esso Schuster ringrazia Siri per avergli inviati, freschi di stampa, i decreti del VII Concilio della provincia ecclesiastica ligure celebrato nel 1950, manifestando un certo scetticismo nei confronti di questo istituto. «Grazie per il suo "Concilium" – scrive Schuster – che studierò nei futuri mesi, dovendo preparare il mio secondo, trascorso già il ventennio dal precedente». «Dopo il Codice (di diritto canonico del 1917, ndr) – si chiede però il pio monaco – è ancora utile redigere un altro corpo di leggi suppletive, che difficilmente potranno durare un ventennio?». «E allora – incalza – a che un "Concilium", che la vita moderna supera dopo brevi anni? Quante leggi passate in desuetudine».I rapporti tra Siri e Schuster, come già detto, sono comunque di antica data. E di questo parlerà oggi nella relazione iniziale del convegno, dedicata agli anni della formazione romana, monsignor Antonio Guido Filipazzi, il più giovane vescovo italiano, ordinato sacerdote da Siri, da poco nominato nunzio apostolico in Indonesia. Filipazzi ricorda l’incontro a Roma tra i due, quando Schuster era ancora abate di San Paolo fuori le Mura e Siri giovane seminarista alunno del Collegio Lombardo. E lo fa attingendo alla lunga deposizione che nel 1959 Siri fece nel processo di beatificazione del suo confratello. Era la Pasqua 1928, Siri partecipava agli esercizi spirituali predicati da Schuster. «Quegli esercizi – raccontò Siri – erano quelli che dovevano decidere per il gran passo per il Suddiaconato, che poi ricevetti in settembre». «Le mie decisioni – continuò – furono prese con lui: io mi sono sempre consigliato con lui, ecco perché è rimasto un legame di affettuosissima relazione».E di questo legame di «affettuosissima relazione» la deposizione di Siri per Schuster beato offre anche altri dettagli, che esulano dalla relazione di monsignor Filipazzi, ma che è interessante ricordare anche perché a volte un po’ sorprendenti. Siri ricorda, ad esempio, che Schuster in un colloquio gli espresse un giudizio «di notevole importanza», e cioè che «sono mille anni che la Curia Romana crea qualche grattacapo alla Chiesa», nel senso – chiosa Siri – che «ci sono delle cose necessarie delle quali si potrebbe fare a meno, ma non si può farne a meno». Siri racconta poi che Schuster in un primo tempo era contrario all’esperienza dei cappellani nelle fabbriche da lui introdotti a Genova, «avendo il concetto che tutto l’apostolato dovesse avere la sua sede nella parrocchia», ma alla fine disse: «Lei ha pienamente ragione, bisogna fare così». Siri spiega infine di aver appreso da Schuster l’uso del verbo «scardinalare», nel senso che «non si deve fare mai nulla che non convenga degnamente e decorosamente alla dignità cardinalizia».