sabato 11 luglio 2015
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Guardiamo al nostro mondo. Sembrerebbe un mondo senza pietà. La scienza e la tecnica, che pretendono di governare tutto, fanno appello alla fredda ragione matematica; la società industriale non pensa che al reddito, suscitando le rivendicazioni sociali; la politica e l’economia conoscono lotte senza quartiere; il terrorismo, che si diffonde ovunque, colpisce alla cieca; le guerre in corso contano migliaia di morti; i profughi sono rifiutati dai Paesi cosiddetti sviluppati; e, nonostante tutti gli sforzi e i trattati internazionali, lo spettro minaccioso di un eventuale conflitto atomico è ancora alle porte. È un mondo che lascia difficilmente spazio alle emozioni, ai sentimenti, alla compassione...Per questo mondo duro e senza pietà, Gesù – oggi come ieri – proclama: «Beati i misericordiosi perché otterranno misericordia. Beati coloro che hanno un cuore compassionevole perché la loro miseria sarà accolta e consolata». Come interpretare questa parola di Gesù? Se sfogliamo i dizionari alla parola misericordia, troviamo diverse definizioni, che si completano a vicenda. Sentimento di compassione per l’infelicità altrui, che spinge ad agire per alleviarla; sentimento di pietà che muove a soccorrere, a perdonare, a desistere da una punizione. Ancora: sensibilità al bisogno, alla disgrazia dell’altro. Occorre interpretare la parola «sensibilità» nel senso quasi fotografico, come capacità di essere impressionato, dunque di prendere su di sé. È quanto indica il prefisso cum (insieme) di con-solazione, com-passione... La parola misericordia è la composizione di altre due: miseria e cuore. Poiché con cuore indichiamo la capacità di amare, misericordia significa amore che guarda alla miseria della persona. Misericordioso è colui che ha un cuore capace di essere ferito dal bisogno altrui (morale o materiale); chi apre il cuore all’altro e agisce per soccorrerlo nella necessità; chi, dietro le ferite della miseria che sfigura o della decadenza morale che aliena, sa vedere la persona da amare e soccorrere.
In greco, lingua del Nuovo Testamento, misericordia si dice éleos, espressione che ci è familiare grazie alla preghiera del Kyrie eleison, che è appello alla misericordia del Signore. Éleos è la traduzione abituale della parola ebraica hésèd, una delle più belle della Bibbia; fa parte del vocabolario dell’alleanza e spesso viene resa semplicemente con «amore». Designa un sentimento indistruttibile, capace di conservare la comunione per sempre, nonostante tutto: «Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di pace, dice il Signore che ti usa misericordia» (Is 54, 10). Éléos traduce ancora un’altra parola ebraica, rahamîm, che va spesso insieme con hésèd, ma è più carica di emozioni, esprime l’attaccamento di un essere a un altro. Letteralmente, significa «le viscere» ed è una forma plurale di réhèm, «il seno materno»; indica l’amore che si prova, l’affetto di una mamma per il suo bambino, la tenerezza di un padre per i suoi figli, un intenso sentimento fraterno. Dice Dio, ancora nel libro del profeta Isaia: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io non ti dimenticherò mai» (49, 15).
Ma c’è di più. La misericordia non è soltanto un aspetto dell’amore di Dio; è il suo stesso essere. Per tre volte davanti a Mosé Dio pronuncia il proprio Nome. La prima volta dice: «Io sono colui che sono» (Es 3, 14). La seconda: «A chi vorrò far grazia farò grazia e di chi vorrò aver misericordia avrò misericordia» (Es 33, 19). Il ritmo della frase è lo stesso ma la grazia e la misericordia si sostituiscono all’essere, perché l’essere di Dio è fare grazia e misericordia. È ciò che conferma la terza proclamazione del Nome divino: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà» (Es 34, 6). L’ultima formula è stata ripresa dai profeti e nei salmi.Il principio supremo della misericordia e del perdono è quello che regge tutta l’economia di Dio nella sua opera di salvezza. Al male dell’offesa da parte dell’uomo, egli risponde con il bene della sua venuta; al male del dissenso e del rifiuto di lui, risponde con il bene dell’alleanza ripetutamente offerta e compiuta. Dio replica al male con il bene, e in questo modo porta avanti il suo progetto; ossia, non rinuncia alla creazione della storia secondo un criterio di verità e di felicità.La misericordia non è un esercizio di forza, ma di debolezza; non è l’azione generosa del forte che aiuta il debole, ma è debolezza condivisa. Solo la coscienza della propria vulnerabilità e del proprio peccato può alimentare quel sentimento di tenerezza e di attenzione verso gli altri che è l’autentica misericordia. Occorre allora coltivare e custodire chiara memoria della propria fragilità e del perdono ricevuto da Dio: «Sono uno cui è stata fatta misericordia», ripete spesso Papa Francesco, definendosi «un peccatore perdonato«. Per poter esercitare la misericordia bisogna avere ricevuto misericordia. Potremmo dire, ispirandoci ai neologismi di Papa Francesco, che per «misericordiare» dobbiamo essere «misericordiati».
Il giorno in cui la certezza della fedeltà di Dio avrà fissato in noi le sue radici, saremo guariti da numerose ferite, il nostro cuore si aprirà alla pace, la nostra anima si radicherà nella speranza e più nulla ci permetterà di dubitare della sua presenza amorosa. Consacrando il santuario della Divina Misericordia a Lagiewniki di Cracovia il 17 agosto 2002, Giovanni Paolo II disse che dell’annuncio della misericordia di Dio «abbiamo particolarmente bisogno nei nostri tempi, in cui l’uomo prova smarrimento di fronte alle molteplici manifestazioni del male» e chiese ai fedeli che lo ascoltavano di essere «testimoni della misericordia».Chi perdona non è mai sopraffatto, perché il perdono dato senza condizioni è una forma di libertà interiore. E il grande premio promesso ai misericordiosi è proprio quello di trovare misericordia, che è quanto dire assicurare la propria salvezza eterna. Così, il Manzoni fa dire a Lucia che supplica l’Innominato: «Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia». Ai misericordiosi Gesù non promette null’altro che ciò che già vivono: la misericordia. In tutte le altre beatitudini la promessa contiene un di più, conduce più lontano: i poveri in spirito e i perseguitati per la giustizia otterranno il regno dei cieli; quelli che piangono saranno consolati; i miti erediteranno la terra; quelli che hanno fame della giustizia saranno saziati; i cuori puri vedranno Dio...Ma che cosa Dio potrebbe dare di più ai misericordiosi? La misericordia è pienezza di Dio e pienezza degli uomini. Chi esercita la misericordia vive già della vita stessa di Dio, perché applica all’esistenza quotidiana il modo di essere e di agire di Dio.
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