Pelè, non solo gol - Fotogramma
Milleduecentottantuno gol ufficiali, tutti con la stessa maglia. Se ne è andato a 82 anni quando non gli è riuscita l’ultima finta. Addio Pelé, il bisillabo più famoso dello sport. Finchè ha giocato è stato il calcio, non solo un calciatore.
Poi è diventato un’icona, il precursore di quelli che con il pallone sono diventati affaristi, il primo atleta sponsorizzato dalle multinazionali, il primo che si è venduto in cambio di un rasoio e di una merendina. Nato povero, aveva la smania del denaro, comunque e a ogni costo. Nulla di scandaloso, ci mancherebbe, questo è il mondo.
Ma è più bello ricordarlo quando saltò due spanne più in alto di Burgnich restando in aria un tempo impossibile. O come lo cantava Venditti quando era l'anno dei mondiali quelli del '66, e la regina d'Inghilterra era Pelé.
Troppo bravo prima, troppo immagine dopo: in visita in Africa, tra Zaire e Congo, per 90' fece fermare le guerre, e alla Casa Bianca ha palleggiato con quattro diversi presidenti (Nixon, Ford, Carter e Reagan), poi anche con Bill Clinton. Lo pagarono anche per questo. Aveva vinto tre Mondiali. Aveva sparso figli che nemmeno ha conosciuto ovunque. E aveva giocato in una sola squadra, il Santos.
Sigge Parling, il difensore svedese che lo marcò nella finale del '58 ha detto: "Dopo il quinto gol avevo voglia di applaudirlo anch'io". Questo, tanto per capire.
L’uomo poi, magari era un’altra cosa: alle Olimpiadi di Rio nel 2016 di mestiere faceva la leggenda vivente in pensione, e anche da anziano era ancora famoso pure tra i pinguini dell’Antartide. Capita che per la prima volta da Filippide in poi gli organizzano i Giochi sotto casa, mica un dopocena a base di caipirinha.
E che la Cerimonia d’Apertura la fanno nel suo stadio, quello dove ha confezionato un record imbattibile da un umano. No, Pelè un’Olimpiade non l’ha mai disputata in carriera, ma resta lo sportivo brasiliano più celebrato della storia. Normale che gli offrano l’onore di accendere la fiaccola.
“Grazie, ma devo chiedere se posso…”, è stata la sua risposta. Che non al medico doveva chiedere, visto che età e acciacchi lo obbligavano alle stampelle, ma allo sponsor. La “Legends 10” che lo paga profumatamente e lo sposta come un burattino da una parte all’altra del mondo. “Ho un contratto. Vedremo, ho bisogno della loro autorizzazione…". Non la accese la fiaccola.
Sintetizzando, come scrisse Flaubert, non toccate mai i vostri idoli: la doratura potrebbe attaccarsi alle dita. Addio gigante, e mille volte grazie comunque.