Due bianchi e due scuri, quattro italiani. Non stiamo sognando. Sono veri, gambe e scatto, braccia che spostano l’aria. Lo sparo nel buio, la prima curva, i cambi, il tuffo di testa sul traguardo.
«Volare oh oh»: è quella la colonna sonora della notte giapponese. Non ci crede Filippo Tortu, faccia da bambino, pelle chiara, solo nervi e occhi spalancati. È suo l’ultimo atto, l’ultimo dei cento passi, quello che vuol dire vittoria.
Incredibile, infinito. Tokyo non smette di allungare la favolosa avventura azzurra. È il quinto oro nell’atletica, la medaglia numero 38 di questi Giochi dai quali non vorresti scendere più, record storico, più e meglio di Los Angeles 1932 e Roma 1960. L’Italia porta a casa anche il podio più alto della staffetta 4x100, una squadra di razzi che bruciano la pista.
Marcell Jacobs, certo, è lui il trascinatore. Non poteva essere che questo. Serviva una conferma però, la prova che non fosse una meteora lanciata nel mare della velocità. Il texano di Desenzano fa da collante, appiccica i compagni al sogno che ha già vissuto, insegna loro a crederci come aveva fatto lui quando i 100 se li era mangiati da solo.
L’Italia è davvero la nuova culla dello sprint: ci sarà tempo per capire perché e come. Adesso c’è solo festa, stupore, per un movimento che di colpo é diventato il regno dei giovani fenomeni e dei bravi ragazzi. Comincia Lorenzo Patta, un lampo sullo sparo: sardo di Oristano, 21 anni, non corre da sempre. Giocava a calcio, la pista l’ha rapito appena cinque anni fa. Colpa delle gare studentesche se adesso ha un oro al collo.
L’Italia c’è e si vede subito, ma come fai a scommetterci mentre l’umidità ti bagna la schiena e il caldo confonde le idee? Vincere ancora sembra il copione di un film di fantascienza. Non c’è una storia azzurra alle spalle qui, solo presente. E poi non sono soli. La corsia 8 è quella più esterna, più a sinistra ci sono Canada, Gran Bretagna, Giamaica, nazioni che hanno fatto gli almanacchi della pista e l’abbonamento alle vittorie. A loro manca la magia però, quella che l’Olimpiade più pazza, chiusa e malefica della storia ha regalato a chiunque vesta d’azzurro.
Anche Lorenza Patta fatica a capire cosa sono riusciti a fare i quattro azzurri. Un tempo straordinario - Ansa
È un’alchimia impossibile da spiegare, un destino segnato. Come il bastoncino che Patta passa a Jacobs. Lui sa come si fa: sul rettilineo di fronte sembra un Intercity. Sicuro, ritmato, perfetto. Le squadre nascono così, la 4x100 dev’essere un concerto preciso: se stoni, crolla tutta la sinfonia, se passi male il testimone non c’è più tempo per rimediare. L’hanno provato cento, mille volte quel passaggio: a volte sbagliando. Non qui però, non ora. Tokyo è un assegno circolare colorato d’azzurro.
Gambe alte, respiro corto, occhi avanti. Tocca a Eseosa Desalu adesso, ma tutti lo chiamano Fausto. Classe 1994, nigeriano di origini, nato a Casalmaggiore (Cremona), italiano dal febbraio 2012 quando è diventato maggiorenne. Duecentista puro, musica hard-rock nelle orecchie quando non corre, un pennellatore delle curve: dicono che abbia la stabilità di una Formula Uno quando la pista piega. E lui pennella.
Gli azzurri sono appena indietro quando tocca l’ultimo cambio. C’è Filippo Tortu ora a scontare la pena: l’ultimo uomo è quello che vince o perde, il tessitore finale, quello che il quadro lo consegna capolavoro oppure lo rovina. Destino che scotta, difficile per uno che sembra un collegiale e invece ha dentro la rabbia di un ripetente: 21 anni, milanese, promessa annunciata della velocità, papà Salvino come allenatore. Poi il calo, i dubbi. Dicevano che fosse finito ancora prima che potesse cominciare, deludente da solo sui 100 qui a Tokyo, ma decisivo quando si è in quattro a remare.
Eseosa Desalu festeggia col tricolore questa grande vittoria - Ansa
Quando riceve il testimone, l’Italia è seconda dietro al britannico Mitchell, ma adesso è il momento: Tortu accende la moto, pulito e potente, agile ed equilibrato nella sua rimonta inesorabile, centimetro dopo centimetro. Ci vuole testa per vincere. Un centesimo da mettere davanti, il tuffo con cui Filippo butta se stesso nella storia.
Non era facile, lui lo sa più di tutti: primo italiano di sempre a essere sceso sotto il muro dei 10 secondi, negli ultimi mesi si è visto sfilare lo scettro di uomo più veloce d’Italia da Jacobs. Tra i due c’è sempre stata rivalità, ma basta vedere come si abbracciano alla fine per capire lo spirito di questa squadra: «Oggi ho pianto prima della gara e penso che piangerò ancora molto», racconta. Lacrime d’oro.
Le mani nei capelli dopo il traguardo sono la sorpresa, lo stupore attonito e il segno del trionfo: 37’’50 dice il cronometro, altro record italiano, quinto tempo europeo di sempre. Ragazzi incredibili. Si sono superati ancora, ogni giorno un orologio spaccato, una progressione da leggenda, per qualcuno persino troppo. La Gran Bretagna è dietro, un’altra volta quest’anno, poi il Canada, lontano.
Marcell Jacobs. Doppietta d'oro come i più grandi velocisti di tutti i tempi - Ansa
Telefona il presidente Mattarella: «Bravissimi, vi aspetto al Quirinale». Malagò in tribuna non sta nei vestiti: «Lo sapevo, è l’Olimpiade più grande di sempre». Anche gli inglesi si congratulano quando passano vicini ai nostri davanti ai microfoni: «Well done, boys, great job». È proprio un bel lavoro quello che hanno fatto. Quattro italiani sono in cima al mondo, stupiti e felici come bambini. E l’Olimpico di Tokyo suona prima Notti Magiche e poi Volare. Se non fossimo qui, se ce lo avessero solo raccontato, non ci avremmo creduto mai.
L'arrivo vincente di una formidabile 4x100 - Ansa