L’amore e la giustizia, la leggenda e la paura: quattro aspetti che fanno parte del nostro vivere, in quattro film scelti da Academy Two per la rassegna “
Nuovo Cinema Teheran”. Arrivano da importanti Festival, ove hanno ricevuto applausi e riconoscimenti: il primo dalla Mostra di Venezia, e da domani in sala, è
Un mercoledì di maggio di Vahid Jalilvand; da Cannes – ove ha vinto nel 2015 il “Prix de l’Avenir” nella sezione “Un certain regard” – ,
Nahid di Ida Panahandeh, il 27 giugno; dal Sundance
A dragon arrives! di Mani Haghighi il 28 e, a chiudere, il 30 da Berlino
A girl walks home alone at night. La versatilità degli autori e registi iraniani sorprende sempre, sebbene non sia facile per loro integrare le leggi e le tradizioni di quella Repubblica Islamica con la loro libertà creativa. Questi quattro titoli sono a modo loro sorprendenti. E
Nahid in modo esemplare è un intensissimo ritratto femminile, impersonato da Sareh Bayat, astro nascente del cinema iraniano, sensibile e piena di talento. È il nome di una donna che cerca l’amore di un uomo, la tranquillità di una famiglia e la protezione per il figlio. Ida Panahandeh, trentasei anni, vive a Teheran. «Nahid è una donna moderna – racconta la regista – che segue e rispetta i propri sogni e desideri, pur se la società semi tradizionale iraniana complica le cose. È una donna che non ha avuto abbastanza affetto, per questo non è capace di educare al meglio suo figlio e vuole cambiare le proprie condizioni di vita. Ma le usanze e le tradizioni non le permettono questi cambiamenti. Nahid si trova davanti a un bivio e dovrà scegliere tra i suoi istinti di donna e le sue responsabilità di madre».
Il film è sospeso tra tradizione e modernità: rispecchia l’Iran di oggi. «Il tema del confronto tra la tradizione e la modernità è una questione molto complessa e fondamentale in tutte le società in via di sviluppo. Una parte della società iraniana, attraverso l’educazione o il contatto con nuove idee e pensieri, si avvia verso la modernità, ma c’è un’altra parte che ancora oggi continua ad aggrapparsi ostinatamente a delle vecchie tradizioni e a credenze superate. Il discorso non è solamente legato al fatto che gran parte delle leggi giudiziarie in Iran sono state istituite in base alle tradizioni; la cosa più importante è che tanti iraniani sono ancora conservatori, pertanto non si percepisce u- na grande esigenza di cambiamento nell’ambito giuridico».
Il matrimonio temporaneo, che Nahid è costretta ad accettare per tutelare il figlio, correndo il pericolo di perderne la cura, è una consuetudine ancora presente nella società iraniana? «Il cosiddetto “matrimonio temporaneo” è tuttora praticato in alcuni strati delle classi più povere e vulnerabili della società iraniana. Alcune donne che non hanno una condizione sociale ed economica tale da poter mantenere gli alti costi della vita, devono loro malgrado scegliere questo tipo di matrimonio non definitivo. Tuttavia il “matrimonio temporaneo” nella mentalità della gran parte della società iraniana, anche quella tradizionale e religiosa, è mal visto. Non si può dire che sia un fenomeno diffuso. Anche perché per la maggior parte degli iraniani è sinonimo di promiscuità sessuale e di prostituzione».
C’è molta presenza dell’acqua nel suo film: il mare – che apre e chiude la storia –, il fiume, la pioggia. «Nelle cultura dell’antica Persia, Nahid o Anahita è la dea dell’amore, della fertilità e dell’acqua, l’equivalente di Venere per gli occidentali. La presenza del mare, del fiume e della pioggia nel film sono più di una semplice bellezza visiva. Il nome del-l’attrice protagonista è stato scelto intenzionalmente: Nahid è una donna innamorata che per conquistare il suo amore deve lottare. Allo stesso tempo, il legame tra questa donna e l’elemento dell’acqua, che viene ripetutamente mostrato, è il simbolo della nascita e della vita».
Tutto è grigio, nel film. Anche i personaggi sono lambiti da questo colore. «Già dal momento della prima stesura della sceneggiatura avevo deciso che il film dovesse essere ambientato in inverno. Il contrasto tra la storia d’amore di Nahid con l’atmosfera grigia e cupa di Bandar-e-Anzali, il paese sul Mar Caspio dove abbiamo girato, poteva essere ancor più potente. Nel film vediamo degli uomini che non si rapportano empaticamente con Nahid e non la aiutano. Allo stesso modo vediamo delle donne che non riescono a comprenderla. Ciononostante, incontra un uomo e un padre come Masoud, simbolo di coloro che non accettano la rigidità dei vecchi valori tradizionali. Lui è l’unico vero amico di Nahid, l’uomo per il quale è disposta a mettere addirittura in pericolo suo figlio».
Appare anche una società fortemente dominata dalla presenza maschile. «Penso che una risposta onesta a questa domanda sia che Nahid ha bisogno di benessere e sicurezza, che l’uomo può assicurarle. È una donna comune e non è alla ricerca di ideali insoliti. Vuole soltanto una vita bella e tranquilla e, come tutte le donne, e assaporare l’amore. È naturale che s’innamori di un uomo come Masoud. La sicurezza economica accanto all’esperienza romantica, a mio parere, è ciò che lei cerca».
L’immagine di Nahid sulla barca che tiene tra le braccia il figlio Amir Reza ricorda molto la Pietà di Michelangelo.«In Iran sono state così poche le persone che si sono accorte della similitudine di questa scena con la
Pietà. Si può quasi dire che questa somiglianza non sia stata nemmeno percepita. Ma è naturale che il pubblico occidentale, avendo familiarità con la storia dell’arte, riesca a coglierla. Sì, l’ho fatto intenzionalmente, addirittura nella sceneggiatura ho intitolato questa scena “la Pietà”. Per me, in un certo senso, Nahid è la rappresentazione di Maria che vive nella nostra epoca, in una piccola cittadella del nord dell’Iran, come potrebbe essere in qualsiasi altro posto del mondo. Alla Vergine Maria viene tolto ingiustamente l’unico Figlio e viene così lasciata nel lutto. Per una madre, non esiste dolore peggiore della perdita del proprio figlio. Nahid ne è cosciente, ma è forte e piena d’amore».