Jerzy Stuhr al Terni Film Festival 2006 - Terni Film Festival
“Ogni giorno ringrazio Dio per il dono della vita, delle persone che ho incontrato. E poi quando ho dubbi privati o artistici, ne parlo con lui. Pregare aiuta a chiarirsi le idee, e quindi anche a trovare la risposta, l’aiuto, la forza per andare avanti”.
Attore di teatro e di cinema, attivista di Solidarnosc, regista, comico, doppiatore, scrittore, collaboratore di Pinter e Grotowski, amico ed erede di Krzysztof Kieslowski, amatissimo anche da Nanni Moretti, Jerzy Stuhr – scomparso oggi, 9 luglio, a 77 anni – era semplicemente il più grande attore polacco.
Nato a Cracovia il 18 aprile 1947, ha ricevuto la cresima da Giovanni Paolo II e dopo la laurea in filologia polacca all’Università Jagellonica, inizia nel 1971 una carriera che lo porta a lavorare a fianco di tutti i grandi maestri del cinema polacco, da Andrzej Wajda ad Agnieszka Holland, da Krzysztof Zanussi a Kieslowski, di cui diventa il vero e proprio alter ego e con cui gira, tra gli altri, Il Decalogo (1988) e Film bianco (1992).
A suo agio tanto nei ruoli drammatici quanto in quelli comici, Stuhr, oltre che di pietre miliari della settima arte, è il protagonista di alcuni dei più grandi successi commerciali del cinema polacco degli ultimi quarant’anni e viene scelto anche per dare voce al ciuchino di Shrek.
Nel 1991, in Vita per vita di Zanussi (inchiesta sulla morte di san Massimiliano Kolbe) interpretava un cardinale apertamente ispirato a Joseph Ratzinger, vent’anni dopo torna in un Vaticano cinematografico nei panni, stavolta, del portavoce del pontefice in Habemus papam di Nanni Moretti, che lo vuole anche nel Caimano e in Il Sol dell’avvenire.
Nel 1994 debutta come regista iniziando una nuova carriera che lo porterà a dirigere 7 film, tra cui Duze swierze (“Grossa bestia” - tratto da un soggetto inedito di Kieslowski), Pogoda na jutro “Che tempo fa” – storia di un dissidente che durante gli anni del comunismo si rifugia in un convento e decide di restarci anche dopo la caduta del Muro) e Koròwod (“Il girotondo”), presentati in anteprima italiana al Terni Film Festival.
In Italia la lavorato moltissimo in teatro a partire dal 1979, mentre al cinema ha interpretato tra gli altri – Io sono con te di Guido Chiesa (rilettura della natività in cu interpreta uno dei magi) e Non morirò di fame - opera contro lo spreco alimentare con cui nel 2022 ha vinto il suo terzo Angelo al Terni Film Festival.
“Ho iniziato come comico, con il cabaret” mi raccontava: “Poi nel 1975 è iniziata la mia lunga storia come attore di cinema, con La cicatrice di Krzysztof Kieslowski, che ha rappresentato il nostro debutto cinematografico”.
Cattolico praticante e al tempo stesso critico, “durante lo stalinismo – raccontava - la Chiesa rappresentava una porta per annusare idee che andavano oltre la cortina di ferro. Ma la Chiesa per me ha rappresentato anche una prima suggestione teatrale. E devo confessare che ora guardo a quel periodo con un po’ di sospetto, perché quando mi trovo di fronte a certe celebrazioni mi chiedo: ma questa è preghiera o è teatro? Mi ricordo che durante la messa noi chierichetti facevamo i concerti con i campanelli. Facevamo anche il campionato dei concerti di campanelli, e un giorno un prete in sacrestia ci ha detto: ‘non fate teatro! Questo non è un concerto: è un fatto sacro’”.
Jerzy ricordava quando, dopo l’ora di religione, l’insegnante lo interrogava per sapere che cosa aveva detto il prete: “E, dal suo punto di vista, faceva bene, perché quei discorsi erano fondamentali per la nostra formazione”.
Negli ultimi anni, invece, lamentava la politicizzazione della Chiesa polacca: “Spesso l’omelia diventa un’indicazione di voto e francamente sentire ogni domenica questi discorsi mi fa provare una certa delusione e mi fa sentire, come cristiano, più solo”.
“Prima – continuava - la Chiesa aveva un ruolo politico specifico: dare valore alla persona. Il comunismo voleva distruggere l’individualità, la Chiesa sottolineava il tuo essere unico e irripetibile essere umano; questo era molto importante per noi giovani. La Chiesa per noi non era solo fede: era una manifestazione di opposizione. Mio padre era procuratore, ma non era iscritto al partito comunista e per questo non poteva diventare capo della procura. Ogni anno veniva fotografato dal Kgb mentre partecipava alla processione del Corpus Domini. Era emarginato, ma ne andava fiero”.
Sopravvissuto a due infarti, due tumori e un ictus, Jerzy si considerava un miracolato ma amava dire che quando saliva sul palcoscenico lasciava la fede in camerino: “Come artista devo avere altri principi: io devo difendere l’essere umano a tutti i costi, anche l’anima che ha perso ogni dogma e principio morale, come insegna Dostoevskij”.
Nanni Moretti lo aveva chiamato per il Caimano dopo averlo visto nei film di Kieslowski e aver proiettato al Nuovo Sacher i suoi film da regista: “Nanni e Kieslowski erano accomunati dalla pignoleria, la precisione sul set, la chiarezza delle idee. E poi sono due uomini che si sono buttati al 100% sul lavoro, tanto da non aver avuto un’altra vita all’infuori del cinema, ed erano anche due atei molto interessati alla religione, anche se con un approccio molto diverso: Kieslowski era un filosofo, mentre Nanni è un uomo sociale”.
L’idea del Decalogo, raccontava, era nata perché Kieslowski aveva una mente analitica: “I dieci comandamenti sono un’idea molto chiara, e poi tutti li conoscono, quindi rappresentano un linguaggio comprensibile”.
Il comandamento più importante per lui era “non uccidere”: “Non lo intendo solo in senso fisico. Per me significa anche non umiliare, annichilire, avvilire un pezzo dell’anima di un’altra persona. Uno scrittore polacco ha detto una frase che è il mio undicesimo comandamento: uno schiavo quando si trova nelle difficoltà estreme della vita – la guerra o catastrofi – vede sempre la colpa in un altro, mentre un uomo libero trova sempre la colpa in sé stesso, avverte tutto il senso di responsabilità”.
“La vita cristiana – aggiungeva – è un viaggio verso la libertà. Io so che non sarò mai libero, ma devo camminare verso la libertà. Andare è il nostro scopo, non ottenere. Un cristiano è sempre in viaggio. E io ho l’impressione chiarissima che la mia vita sia un bellissimo percorso”.