martedì 9 luglio 2024
Attore di teatro e di cinema, attivista di Solidarnosc, regista, comico, doppiatore, scrittore, amico ed erede di Kieslowski, Stuhr era amatissimo anche da Nanni Moretti
Jerzy Stuhr al Terni Film Festival 2006

Jerzy Stuhr al Terni Film Festival 2006 - Terni Film Festival

COMMENTA E CONDIVIDI

“Ogni giorno ringrazio Dio per il dono della vita, delle persone che ho incontrato. E poi quando ho dubbi privati o artistici, ne parlo con lui. Pregare aiuta a chiarirsi le idee, e quindi anche a trovare la risposta, l’aiuto, la forza per andare avanti”.

Attore di teatro e di cinema, attivista di Solidarnosc, regista, comico, doppiatore, scrittore, collaboratore di Pinter e Grotowski, amico ed erede di Krzysztof Kieslowski, amatissimo anche da Nanni Moretti, Jerzy Stuhr – scomparso oggi, 9 luglio, a 77 anni – era semplicemente il più grande attore polacco.

Nato a Cracovia il 18 aprile 1947, ha ricevuto la cresima da Giovanni Paolo II e dopo la laurea in filologia polacca all’Università Jagellonica, inizia nel 1971 una carriera che lo porta a lavorare a fianco di tutti i grandi maestri del cinema polacco, da Andrzej Wajda ad Agnieszka Holland, da Krzysztof Zanussi a Kieslowski, di cui diventa il vero e proprio alter ego e con cui gira, tra gli altri, Il Decalogo (1988) e Film bianco (1992).

A suo agio tanto nei ruoli drammatici quanto in quelli comici, Stuhr, oltre che di pietre miliari della settima arte, è il protagonista di alcuni dei più grandi successi commerciali del cinema polacco degli ultimi quarant’anni e viene scelto anche per dare voce al ciuchino di Shrek.

Nel 1991, in Vita per vita di Zanussi (inchiesta sulla morte di san Massimiliano Kolbe) interpretava un cardinale apertamente ispirato a Joseph Ratzinger, vent’anni dopo torna in un Vaticano cinematografico nei panni, stavolta, del portavoce del pontefice in Habemus papam di Nanni Moretti, che lo vuole anche nel Caimano e in Il Sol dell’avvenire.

Nel 1994 debutta come regista iniziando una nuova carriera che lo porterà a dirigere 7 film, tra cui Duze swierze (“Grossa bestia” - tratto da un soggetto inedito di Kieslowski), Pogoda na jutro “Che tempo fa” – storia di un dissidente che durante gli anni del comunismo si rifugia in un convento e decide di restarci anche dopo la caduta del Muro) e Koròwod (“Il girotondo”), presentati in anteprima italiana al Terni Film Festival.

In Italia la lavorato moltissimo in teatro a partire dal 1979, mentre al cinema ha interpretato tra gli altri – Io sono con te di Guido Chiesa (rilettura della natività in cu interpreta uno dei magi) e Non morirò di fame - opera contro lo spreco alimentare con cui nel 2022 ha vinto il suo terzo Angelo al Terni Film Festival.

“Ho iniziato come comico, con il cabaret” mi raccontava: “Poi nel 1975 è iniziata la mia lunga storia come attore di cinema, con La cicatrice di Krzysztof Kieslowski, che ha rappresentato il nostro debutto cinematografico”.

Cattolico praticante e al tempo stesso critico, “durante lo stalinismo – raccontava - la Chiesa rappresentava una porta per annusare idee che andavano oltre la cortina di ferro. Ma la Chiesa per me ha rappresentato anche una prima suggestione teatrale. E devo confessare che ora guardo a quel periodo con un po’ di sospetto, perché quando mi trovo di fronte a certe celebrazioni mi chiedo: ma questa è preghiera o è teatro? Mi ricordo che durante la messa noi chierichetti facevamo i concerti con i campanelli. Facevamo anche il campionato dei concerti di campanelli, e un giorno un prete in sacrestia ci ha detto: ‘non fate teatro! Questo non è un concerto: è un fatto sacro’”.

Jerzy ricordava quando, dopo l’ora di religione, l’insegnante lo interrogava per sapere che cosa aveva detto il prete: “E, dal suo punto di vista, faceva bene, perché quei discorsi erano fondamentali per la nostra formazione”.

Negli ultimi anni, invece, lamentava la politicizzazione della Chiesa polacca: “Spesso l’omelia diventa un’indicazione di voto e francamente sentire ogni domenica questi discorsi mi fa provare una certa delusione e mi fa sentire, come cristiano, più solo”.

“Prima – continuava - la Chiesa aveva un ruolo politico specifico: dare valore alla persona. Il comunismo voleva distruggere l’individualità, la Chiesa sottolineava il tuo essere unico e irripetibile essere umano; questo era molto importante per noi giovani. La Chiesa per noi non era solo fede: era una manifestazione di opposizione. Mio padre era procuratore, ma non era iscritto al partito comunista e per questo non poteva diventare capo della procura. Ogni anno veniva fotografato dal Kgb mentre partecipava alla processione del Corpus Domini. Era emarginato, ma ne andava fiero”.

Sopravvissuto a due infarti, due tumori e un ictus, Jerzy si considerava un miracolato ma amava dire che quando saliva sul palcoscenico lasciava la fede in camerino: “Come artista devo avere altri principi: io devo difendere l’essere umano a tutti i costi, anche l’anima che ha perso ogni dogma e principio morale, come insegna Dostoevskij”.

Nanni Moretti lo aveva chiamato per il Caimano dopo averlo visto nei film di Kieslowski e aver proiettato al Nuovo Sacher i suoi film da regista: “Nanni e Kieslowski erano accomunati dalla pignoleria, la precisione sul set, la chiarezza delle idee. E poi sono due uomini che si sono buttati al 100% sul lavoro, tanto da non aver avuto un’altra vita all’infuori del cinema, ed erano anche due atei molto interessati alla religione, anche se con un approccio molto diverso: Kieslowski era un filosofo, mentre Nanni è un uomo sociale”.

L’idea del Decalogo, raccontava, era nata perché Kieslowski aveva una mente analitica: “I dieci comandamenti sono un’idea molto chiara, e poi tutti li conoscono, quindi rappresentano un linguaggio comprensibile”.

Il comandamento più importante per lui era “non uccidere”: “Non lo intendo solo in senso fisico. Per me significa anche non umiliare, annichilire, avvilire un pezzo dell’anima di un’altra persona. Uno scrittore polacco ha detto una frase che è il mio undicesimo comandamento: uno schiavo quando si trova nelle difficoltà estreme della vita – la guerra o catastrofi – vede sempre la colpa in un altro, mentre un uomo libero trova sempre la colpa in sé stesso, avverte tutto il senso di responsabilità”.

“La vita cristiana – aggiungeva – è un viaggio verso la libertà. Io so che non sarò mai libero, ma devo camminare verso la libertà. Andare è il nostro scopo, non ottenere. Un cristiano è sempre in viaggio. E io ho l’impressione chiarissima che la mia vita sia un bellissimo percorso”.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: