Andrea Montanari, direttore dell’Ufficio Studi Rai
«Più cultura sulle reti Rai? L’idea di Pupi Avati è certamente un ottimo inizio e va presa seriamente: trasmettere più film di qualità o il grande teatro sarebbe importante. Ma bisogna fare di più, il futuro del Servizio pubblico è una sfida da far tremare i polsi e la cultura è un pezzo del più ampio cantiere che è giunto il momento di aprire nel Paese». A parlare è Andrea Montanari, lunga carriera di giornalista Rai e già direttore del Tg1, che dalla metà del 2019 dirige il neonato Ufficio Studi della Rai, la cui missione, prevista nel contratto di servizio dell’emittente pubblica, è quella di porsi le domande giuste per capire cosa dovrà fare la Rai del futuro. Un ufficio, che mai come in questo momento, è attivo nel monitorare la situazione e studiare le nuove sfide dell’emittente di Stato, capofila della tv generalista in Italia.
Direttore Montanari, l’Ufficio Studi della Rai muove i primi passi in un momento epocale anche per la comunicazione televisiva.
Tutto cambia alla velocità della luce, l’emergenza di questi giorni pone tutti i servizi pubblici radiotelevisivi del mondo davanti serie questioni su quello che debbono fare ora e in futuro. L’emergenza Coronavirus dimostra che la Rai è un bene comune primario e tutti devono poter dire la loro in una grande consultazione tra i cittadini ma anche tra tutti i soggetti come associazionismo, famiglie, imprese, a cominciare dall’audiovisivo, sindacati, università, politica: un momento di ascolto della collettività nazionale per poi decidere cosa deve essere la Rai di domani. Occorre un grande momento fondativo e rifondativo.
Voi siete già al lavoro sulla Rai del futuro?
Dopo la pandemia nulla sarà come prima e questi primi mesi di lavoro del nuovo Ufficio Studi ci dicono che il Servizio pubblico ha un futuro solo se rompe gli indugi e porta a compimento la sua trasformazione in una duplice direzione: aprendosi senza riserve alla società, con la quale deve rinsaldare il rapporto di vicinanza e legittimazione, e portando fino in fondo la trasformazione digitale. Non nel senso di dar vita a una “streaming company” all’americana come Netflix. Il futuro per la Rai deve essere molto diverso e deve avere fondamenta ben piantate nella tradizione dei migliori Servizi pubblici europei focalizzati in primo luogo sulla creazione di coesione sociale.
E allora cosa vuol dire in concreto trasformazione digitale per Rai?
Vuol dire soprattutto essere vicina agli utenti, intercettarne bisogni, gusti, desideri. E trasformarli in prodotti e servizi innovativi sfruttando tutte le possibilità che possono scaturire da avanzate sinergie multipiattaforma che mettano insieme il meglio della tv generalista e streaming tv, on air ed online, Radio e internet.
Vi siete fatti un’idea di cosa hanno veramente bisogno i cittadini in questi lunghi giorni passati in casa?
Due esigenze su tutte sono emerse: quella dei minori che, con le scuole chiuse, chiedono percorsi di formazione ed e– learning veramente utili, completi e facilmente utilizzabili. E quella degli anziani che, sentitisi particolarmente esposti, chiedono un’informazione autorevole e pacata e insieme una programmazione che unisca il meglio della proposta culturale e dell’intrattenimento.
La tecnologia sta dimostrando in questi giorni le sue potenzialità migliori.
La Rai fa già molto: nuove e importanti inziative sono di questi giorni. Servono risorse adeguate. L’Ufficio Studi ha segnalato all’azienda il meglio della proposta europea per i minori, ad esempio le piattaforme web Lumni della tv francese, o Bitsize, della BBC, vere e proprie miniere di percorsi pedagogici completi, sartoriali, costruiti per fasce d’età con centinaia e centinaia di lezioni, spesso interattive, per ogni specifica e singola esigenza didattica. Ma scopriamo anche un uso intelligente di questa potenza di fuoco, veicolata non solo su internet ma anche nelle principali reti generaliste (perché non tutti hanno il Pc o la banda larga) con programmi ad hoc che consentono ai ragazzi di studiare e contemporaneamente di comprendere la crisi grazie ad esperti.
C’è, però, una larga fetta di abbonati anziani per cui la tv generalista resta il principale mezzo di informazione e intrattenimento.
L’emergenza, con l’aumento esponenziale del tempo che tutti passano sul web , ha mostrato quanto sia urgente un progetto di alfabetizzazione rivolto soprattutto a chi non è nativo digitale. Per questo l’Ufficio Studi Rai ha proposto una “call for ideas”, un appello rivolto ai giovani per costruire percorsi di educazione digitale dedicati agli anziani così come ad altre categorie soggette ad esclusione. Un modo nuovo di fare coesione sociale: aprirsi all’esterno, intercettare le migliori competenze dei giovani e metterle a disposizione delle fasce più fragili della società finanziando progetti innovativi.
Cosa si può fare, intanto, in questi giorni di emergenza?
Il servizio pubblico deve mostrare già oggi di essere ancora più vicino agli italiani. E allora perché non dar vita a un Palinsesto dell’emergenza, mettendo insieme una serie di programmi dedicati, magari contraddistinti da un logo ad hoc, sparsi tra le tre reti generaliste (ad esempio al mattino su Rai3, al pomeriggio su Rai2 e la sera su Rai1) che garantiscano quegli standard di tempestività, autorevolezza e pacatezza che la Rai ha sempre mostrato di possedere nei momenti più difficili per il Paese?
Ci sarà anche una “Fase 2” anche per la Rai?
L’emergenza sanitaria, per quanto grave, prima o poi finirà ma non finiranno le preoccupazioni degli italiani, anzi: sarà il momento delle difficoltà economiche, del lavoro che non c’è, dei soldi che per molti non bastano ad arrivare alla fine del mese. Sarà il momento per il Servizio pubblico di esserci, di aiutarli a districarsi tra le mille difficoltà, tra misure di aiuto non sempre facili da attingere, ascoltando le loro ansie ed i loro bisogni. Perché cambiano le circostanze, cambia la tecnologia ma non il ruolo della Rai: essere a fianco degli italiani, dare risposta alle loro domande e condividere le loro speranze.