mercoledì 12 novembre 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
Più di cento emittenti locali rischiano di scomparire dagli schermi italiani nelle prossime settimane. Stop alle trasmissioni entro quest’anno, ha imposto l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Il motivo? L’Italia è tenuta a eliminare le interferenze televisive che crea negli Stati confinanti, altrimenti verrà aperta una procedura d’infrazione da parte dell’Unione europea. «E ancora una volta a farne le spese è l’emittenza locale», spiega Marco Rossignoli, coordinatore dell’Aeranti-Corallo, l’associazione che riunisce oltre mille imprese radiotelevisive. Il riferimento è all’odissea che le tv del territorio avevano vissuto all’indomani del passaggio al digitale terrestre quando il legislatore aveva deciso di cedere alle compagnie telefoniche parte degli spazi “celesti” che occupavano. Ora siamo alle prese con un situazione analoga che «crea grande preoccupazione nel settore», afferma Rossignoli. E le tv locali parlano già di «ghigliottina che si abbatterà su di noi se non dovessero essere trovate al più presto soluzioni per arginare questa emergenza».  Il nuovo caos nell’etere è legato ai disturbi che penalizzano le trasmissioni in alcuni Paesi vicini: su tutti Slovenia e Croazia; ma anche Francia, Malta, Svizzera e San Marino. Nazioni a cui l’Unione internazionale delle telecomunicazioni di Ginevra ha garantito l’uso delle frequenze che oggi sono al centro del contendere. Solo che nel 2011 l’Italia ha assegnato comunque quei canali: e tutti alle tv locali, per scongiurare problemi ai potenti network nazionali. Frequenze “irregolari”, secondo la Ue, che diffondono segnali tv in grado di sovrapporsi a quelli delle emittenti oltre confine oscurando i loro programmi. Così nelle scorse settimane l’Agcom ha rivisto il piano nazionale delle frequenze e ha reso noto la lista nera dei canali che dovranno essere spenti. Sono settantasei: dodici in Puglia e Marche, dieci in Molise e Abruzzo, nove in Friuli, otto in Veneto, cinque in Emilia, quattro in Sicilia, due in Liguria e Toscana, uno in Lombardia e Piemonte. Le stazioni locali che li utilizzano dovranno liberarli. E di fatto non ci saranno più spazi sufficienti per tutte le stazioni. Siccome ogni frequenza può ospitare fino a cinque marchi che appaiono sullo schermo di casa, le tv su cui potrebbe calare il sipario superano quo- ta cento. «Lo Stato italiano ha evidenti responsabilità politiche», accusa Rossignoli in una lettera inviata al premier Matteo Renzi.  L’Agcom ha stabilito che le frequenze possano essere lasciate volontariamente entro il 31 dicembre. Dopo scatterà, senza preavviso, il blocco dei trasmettitori. «Decine di imprese televisive locali rischiano la chiusura», avverte il coordinatore dell’associazione. Cifre alla mano, un quinto delle locali corre il pericolo di non andare più in onda, visto che le emittenti del territorio sono 550. Con situazioni paradossali: in Puglia le reti locali devono restituire 12 dei 18 canali che hanno a disposizione. «Qualcuno sostiene  che si tratti di frequenze abusive – afferma Rossignoli –. In realtà sono state legittimamente assegnate dal ministro dello Sviluppo economico alle tv locali per venti anni attraverso le gare che si sono svolte nel 2012. Per poterle utilizzare le emittenti hanno realizzato investimenti importanti». Secondo l’Aeranti-Corallo, il primo passo è una proroga dell’ultimatum. Ma non sarà facile perché, nell’ottica degli Stati confinanti, un rinvio sarebbe l’ennesimo sopruso compiuto dall’Italia nell’occupazione dell’etere. Intanto le locali calano sul tavolo alcune proposte. «I tecnici delle nostre emittenti – spiega Rossignoli – ritengono che alcune modifiche agli impianti di trasmissione potrebbero evitare le interferenze». E, se proprio alcuni canali dovessero essere tagliati, potrebbero essere ceduti alle tv locali i canali dell’ex beauty contest rimasti nelle mani dello Stato: due non venduti e tre mai messi all’asta. Per riconsegnare le frequenze “incriminate” è stato previsto un indennizzo. Il ministero ha stanziano venti milioni di euro. «Una somma irrisoria se si pensa che due anni fa furono necessari sessanta milioni», sottolinea Rossignoli. Il sottosegretario con la delega alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, ha annunciato più volte un ritocco. «Però l’incremento non c’è ancora». Fatto sta che, se scattasse l’operazione varata dall’Agcom, le locali rimaste al palo avrebbero due alternative: o ammainare le antenne o affittare spazi da altre tv. «Con notevoli difficoltà a diffondere i propri programmi », sostiene Rossignoli. Da qui l’annuncio di più stazioni di voler ricorrere al Tar in quelle regioni, soprattutto adriatiche, dove, con lo spegnimento dei canali coinvolti, le tv locali avrebbero meno quel terzo delle frequenze che la legge riserva loro. «Una via d’uscita c’è: includere nella lista dei canali da dismettere alcune frequenze nazionali al posto di alcune locali», ipotizza Rossignoli. Ma alle grandi reti nessuno intende dare fastidio.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: