venerdì 17 gennaio 2020
L’attore in scena a Roma con un lavoro che partendo dal Mundial d’Argentina ’78 racconta i legami pericolosi tra le dittature e il calcio
L’attore Neri Marcorè in un momento dello spettacolo “Tango del calcio di rigore” al Teatro Brancaccio di Roma

L’attore Neri Marcorè in un momento dello spettacolo “Tango del calcio di rigore” al Teatro Brancaccio di Roma - Caroli

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Se fosse un calciatore, Neri Marcorè, classe 1966, sarebbe una punta di diamante della squadra, il jolly offensivo dalla classe sopraffina che sa ricoprire più ruoli: attore, doppiatore, conduttore televisivo, imitatore, comico e cantante. Potremmo aggiungere anche «calciatore», perché Marcorè ha danzato qualche stagione sui campi del dilettantismo della provincia marchigiana: «Sono partito dal tennis per arrivare, nell’ultimo anno d’Università (Scuola interpreti a Bologna), a giocare nel Settembrina, la squadra di via XX Settembre, al mio paese, Porto Sant’Elpidio. C’aveva giocato anche mio zio... Il mio ruolo? Ala sinistra», dice divertito mentre sta per andare in scena al Teatro Brancaccio di Roma con un’autentica storia di cuoio, scritta e diretta da Giorgio Gallione, Tango del calcio di rigore. In “campo”, sulle tavole di legno del teatro romano si schierano i veterani: Marcorè, Ugo Dighero e Rosanna Naddeo, affiancati dai giovani Fabrizio Costella e Alessandro Pizzuto. Il vecchio pal- lone color marron, al centro della narrazione, rimbalza nella Storia, che al calcio d’inizio è quella del Mundial del ’78 e della “Coppa insanguinata” vinta dai padroni di casa dell’Argentina, per la gioia e la piena complicità del regime militare guidato dal generale Videla.
Marcorè, che ricordi ha di quella pagina luttuosa di calcio sotto dittatura?
Avevo 12 anni e quello è stato il primo Mondiale di cui conservo ricordi nitidi. Mio nonno c’aveva regalato una televisione nuova per l’occasione e seguivamo quelle partite in famiglia, tutti assieme, appassionatamente. Ricordo come fosse ora il debutto dell’Italia del “Vecio” Enzo Bearzot – seduto in panchina sempre con la pipa in bocca – contro la Francia che dopo 1 minuto passò in vantaggio: gol-lampo di Lacombe. Poi vincemmo 2-1... e fu un grande Mundial per quegli azzurri fortissimi che infatti, quattro anni dopo, sarebbero diventati campioni del mondo a Spagna ’82.
La cavalcata della Nazionale, dopo aver battuto l’Argentina, si interruppe contro l’Olanda che arrivò alla finale all’Estadio Monumental di Buenos Aires, probabilmente consapevole di essere la vittima sacrificale di un Mundial pilotato.
Quando uscì l’Italia ci rimasi male e a quel punto non potevo che tifare l’Olanda. Era la squadra che esprimeva il miglior gioco, rivoluzionaria, nonostante l’assenza di Cruijff, rimasto a casa perché temeva di essere rapito. Nello spettacolo rievochiamo la vergogna di quell’Argentina-Perù 6-0, la “marmellata” che permise alla squadra del ct Menotti di passare il turno. I peruviani su ordine del loro governo si scansarono...
Indicazioni arrivate dall’alto... dai dittatori
Calcio e regime, rappresentano lo scenario naturale del Sudamerica degli anni ’70, ma noi da casa eravamo completamente ignari delle torture subite da migliaia di argentini. Dei “voli della morte”, dei desaparecidos e delle loro madri di Plaza de Mayo. La mia generazione ha saputo tutto molto dopo quel Mundial del ’78...
Ma qualcuno in Italia era assai informato dei tragici misfatti d’Argentina.
Non certo i calciatori della Nazionale. I nostri politici invece sapevano e hanno taciuto, anche perché come raccontiamo in Tango del calcio di rigore, a quella finale nella tribuna delle autorità, seduto appena dietro a Videla, stava comodamente il capo della loggia massonica P2, il “Venerabile” Licio Gelli. A testimonianza che gli interessi economici e le trame politiche tessute con il governo argentino stavano assai più a cuore dell’esito del campionato del mondo.
«Splendori e miserie del calcio», direbbe lo scrittore uruguayano Eduardo Galeano, “protagonista” con i suoi testi del vostro lavoro teatrale, assieme al grande scriba argentino di «Fútbol», Osvaldo Soriano.
Due maestri della narrazione, anche calcistica. Soriano rispetto a Galeano è più fantasista, basta rileggere, come facciamo nello spettacolo, Il rigore più lungo della storia del calcio, subìto dal vecchio portiere, il Gato Diaz. Il Tango del calcio di rigore nasce da qui, ed è straordinaria la trovata sorianesca del figlio del cowboy Butch Cassidy che arbitra, – pistole alla mano – il fantomatico mondiale del 1942 che, secondo lui, si disputò in Patagonia.
Nella sfida tra fantasisti, subentra anche il nostro Stefano Benni, filosofo del Bar Sport e si arriva fino ai reportage di Ryszard Kapuscinzki.
L’Amedeo Piva («il sesto di sessantadue fratelli, tutti poverissimi) di Benni che, a forza di pallonate fa crollare il muro della sagrestia, è semplicemente esilarante. Così come illuminante è Kapuscinzki con la Guerra del Football, il conflitto-lampo (Guerra delle cento ore) combattuto nel 1969 tra Honduras e Salvador che si scatena durante le gare di qualificazione per i Mondiali di Messico ’70... Spesso le vicende politiche di un Paese, si sono intrecciate con quelle dei grandi eventi calcistici.
Vedi il “caso Valdés” e il grande freddo calato tra l’Urss e il Cile da cui scaturì la famosa sfida “farsa” di Santiago, 21 novembre 1973.
Il monologo di Ugo Dighero è uno dei momenti più toccanti diTango del calcio di rigore: il capitano del Cile Francisco Valdés pentito e disperato va sulla tomba del poeta Pablo Neruda a chiedere scusa per non essere riuscito ad opporre resistenza alla dittatura di Pinochet che gli impose di segnare quel gol a porta vuota (la Russia non si presentò in campo per ordine del Cremlino) che poi ha segnato la sua vita, fino alla morte.
La “vittima” Valdés se ne è andato nel 2009. Un decennio dopo quel Mundial del ’78 volava via una delle grandi anime belle del calcio azzurro, Gaetano Scirea.
I miei miti giovanili sono ancora quelli, il gentiluomo in campo e fuori, Scirea. Un modello di sobrietà come Dino Zoff che per anni mi sono divertito ad imitare. Ma anche l’hombre vertical Gigi Riva e lo stesso Bearzot. Tutta gente che condivideva vittorie e sconfitte con un intero popolo che allora credeva nel calcio essenzialmente come gioco. Oggi è solo finanza: un grande affare, in cui fuori vige la logica del fatturato e in campo la legge della vittoria a tutti i costi.
Ci sta dicendo che il «calcio di poesia» professato da Pasolini è scomparso per sempre?
Quella è un’epica che vive ancora nella memoria collettiva delle generazioni passate. Poi ogni tanto scopri qualche piccolo “eroe esemplare”, tipo Igor Trocchia: l’allenatore dei giovanissimi del Pontisola che ha avuto il coraggio di ritirare la squadra dopo l’ennesimo insulto razzista ricevuto da un suo ragazzo. Un gesto forte, fuori dal coro composto da quella maggioranza che tende a minimizzare e a non prendere mai posizione. La storia, compresa quella che raccontiamo in Tango del calcio di rigore ci insegna invece che a forza di minimizzare si generano fascismi.
Uno scenario assai cupo. Prima della fine del Tango lasciamoci con un paio di figurine Panini ancora buone per il suo album.
Ci metto Giorgio Chiellini, uno che unisce grinta e volontà rara, e che non studia solo gli attaccanti avversari, ma tra una trasferta e l’altra, si è preso anche la sua bella laurea. Poi Gigi Buffon, la sua longevità e la passione che ci mette ancora a 41 anni è commovente. Infine Damiano Tommasi, un uomo di sport completo che spero prima o poi possa diventare il presidente della Federcalcio.

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