Ulisse Sartini, “Resurrezione di Lazzaro” - Archivium
In passato molti erano convinti che i simboli della Bibbia fossero una nebbia da dissolvere, prodotta da menti primitive, così da far balenare il cielo cristallino del pensiero e della speculazione teologica. In realtà simbolo e messaggio sono compatti e insieme devono essere accolti e compresi. È ciò che fanno gli artisti che, come diceva un famoso pittore come Paul Klee, «non rappresentano il visibile ma l’Invisibile che è nel visibile». L’immagine simbolica diventa nella sua visibilità un rimando alla trascendenza divina. Ed è in questa prospettiva che le S. Scritture stesse sono la matrice e la giustificazione dell’arte da esse scaturita nei secoli
Ulisse Sartini nelle pagine di questo volume ha imboccato questa via espressiva e ha voluto testimoniare in modo personale quella sfida che già Paolo VI, nella cornice emozionante della Sistina, il 7 maggio 1964, aveva così formulato: l’artista cerca di «carpire dal cielo dello spirito i suoi tesori e rivestirli di parola, di colori, di forme, di accessibilità». Era la cosiddetta via pulchritudinis teorizzata dalla teologia medievale, per cui dalla bellezza artistica si ascendeva alla suprema Bellezza divina, «all’etterno dal tempo», per usare un’icastica formula dantesca (Paradiso XXXI, 38). Su questa via Sartini ha ricomposto l’intera trama narrativa evangelica. È, quindi, partito dall’annunciazione a Maria che vede come protagonista la futura madre di Gesù e l’angelo messaggero celeste, voce di Dio stesso, per entrare poi nello spazio umile e glorioso della natività di Cristo, l’inizio assoluto della salvezza. La presenza delle figure degli evangelisti vuole ricordarci che è solo attraverso i quattro Vangeli da loro composti che si può̀ costruire una vera “biografia” di Gesù, la cui persona intreccia in sé – come canterà lo splendido inno-prologo di Giovanni – il Lògos, il Verbo divino e trascendente e la sarx, la carne dell’esistenza umana e della storia. La scelta dell’artista nel rappresentare l’arco della vicenda terrena di Cristo è affidata soprattutto a due poli estremi. Da un lato, dopo l’annunciazione e la nascita, il solenne manifestarsi nel battesimo al Giordano, che è l’esordio del ministero pubblico di Gesù fatto di parole e opere, di discorsi come quello intessuto con la Samaritana, e di miracoli, come l’emozionante trionfo sulla morte nella risurrezione di Lazzaro. D’altro lato, a dominare è l’altro estremo, quello delle ultime ore terrene del Maestro, aperte dalla scena sempre amata dagli artisti di tutti i tempi, dell’ultima Cena, segno della costante presenza di Cristo sotto i segni del pane e del vino, nel flusso dei secoli. E’ da lì che inizia quel racconto già in sé visivo che gli evangelisti intessono sulla Passione, con la drammatica esperienza del Getsemani, il tradimento degli amici, la tortura da parte dei soldati romani, fino all’apice supremo della crocifissione, col silenzio del Padre e con la successiva deposizione del corpo esanime di Gesù tra le braccia di Maria. La Madre addolorata diventa, agli occhi di Sartini, un simbolo – da lui reiterato a più riprese – della sofferenza umana che attende il riscatto della liberazione. Una redenzione che si compie con la risurrezione: colui che era stato nostro fratello nella morte, depone infatti nella nostra creaturalità caduca un seme di eternità che per lui fiorisce subito, nella risurrezione dell’alba di Pasqua, e che per noi sarà il destino ultimo alla fine dei tempi. Come è evidente, l’artista ha cercato – seguendo l’esempio di una folla di altri testimoni nella secolare storia dell’arte – di sviluppare secondo il suo sguardo una sorta di esegesi delle principali pagine evangeliche, confermando così che il testo sacro è “il grande codice” della cultura occidentale, per usare una famosa definizione sintetica coniata da un altro celebre artista, William Blake. Si compie in tal modo quella missione di cui avevano coscienza i pittori e gli scultori senesi [...]: annunciare la gloriosa ma anche realistica storia della nostra salvezza.
Uno dei primi cantori del valore spirituale delle icone e, quindi, dell’arte sacra, san Giovanni Damasceno (VII-VIII sec.), invitava il non credente desideroso di conoscere la fede cristiana non a un dibattito teologico, bensì a entrare in una chiesa bella e a contemplare i dipinti e le statue là presenti: «Se un pagano viene e ti dice: “Mostrami la tua fede!”, tu portalo in chiesa e mostra a lui la decorazione di cui è ornata e spiegagli la serie dei sacri quadri». Ma Sartini si rivolge anche e soprattutto ai credenti perché possano contemplare le sue opere, così da incontrare figure e narrazioni, simboli e vicende dei Vangeli perché siano sorgente di speranza.[...]
Negli Statuti d’arte dei pittori senesi del Trecento si leggeva questa sorta di autoritratto: «Noi siamo manifestatori, agli uomini che non sanno leggere, delle cose meravigliose operate per virtù della fede». E per venire più vicino ai nostri tempi, è spesso citata la dichiarazione di Marc Chagall secondo il quale i pittori per secoli hanno intinto il loro pennello in quella sorta di tavolozza dai mille colori che è la Bibbia. È ciò che è confermato anche da questa ricca sequenza di dipinti che Ulisse Sartini ha selezionato all’interno di un’imponente produzione distribuita lungo il percorso della sua vasta ricerca artistica. Egli si è, così, assunto lo stesso programma dei suoi antichi colleghi toscani e ha continuato a realizzare sulla tela tanti fogli ideali di quella Biblia pauperum che nel passato sulle pareti delle chiese apriva davanti ai fedeli le parole e le opere di Cristo. Con questo volume, simile a un atlante iconografico sacro, per certi versi si concretizza il messaggio che l’8 dicembre 1965 i Padri del Concilio Vaticano Il affidavano a tutti gli artisti: «Il mondo in cui viviamo ha bisogno di bellezza per non oscurarsi nella disperazione. La bellezza, come la verità, è ciò che mette la gioia nel cuore degli uomini, è il frutto prezioso che resiste all’usura del tempo, che unisce le generazioni e le congiunge nell’ammirazione. E questo grazie alle vostre mani».
Il Vangelo per il Giubileo 2025 secondo il ritrattista dei Papi
I testi degli evangelisti nella traduzione Cei corredati da dipinti singolari dove momenti della vicenda terrena di Cristo, senza dimenticare Maria e gli Angeli, prendono vita grazie ad una tecnica pittorica capace di creare l’illusione della realtà. Sulla scia di Annigoni e di una tradizione che - osserva Vittorio Sgarbi nella prefazione- dal Rinascimento arriva all’ ‘800 di Hayez o al primo ‘900 di Corcos, Ulisse Sartini, il “ritrattista dei papi”, ha reso unico questo Vangelo per il Giubileo 2025 in tiratura limitata arricchito da 35 sue tavole (Archivium, pagine 228). Un‘opera, il cui primo esemplare è stato donato a Papa Francesco il 30 settembre scorso, che, scrive don Antonio Tarzia in una nota, «vuole essere un piccolo memoriale e un’occasione di pregare con l’arte nell’anno del Signore». Del resto, e lo ricorda ancora Vittorio Sgarbi nel suo contributo al volume, «ogni volta che Sartini dipinge un soggetto religioso ringrazia Dio per avergli dato la possibilità di farlo in maniera così esaltante». A questa sequenza di dipinti fa riferimento anche l’introduzione del cardinale Gianfranco Ravasi (della quale anticipiamo sopra alcuni stralci) che sottolinea come in quest’edizione Ulisse Sartini «ha continuato a realizzare sulla tela tanti fogli ideali di quella “Biblia pauperum” che nel passato sulle pareti delle chiese apriva davanti ai fedeli le parole e le opere di Cristo».
Marco Roncalli