«Alla fine si diventa ciò che si scrive»: questo verso di José Angel Leyva indica l’ambito della sua esplorazione poetica: la poesia ferma ciò che scorre e fissa istanti del tempo che fugge, conferisce memoria, senso all’esistenza. Memoria, non certezze: l’orizzonte del poeta è quello novecentesco della ricerca nella percezione del vuoto, i suoi due temi portanti sono il trascorrere dei giorni (il "triste divenire" di Shakespeare e del mondo classico), e la percezione dell’assenza. Temi novecenteschi in pieno, e pienamente espressi in una poesia che "cerca", ma che non si compiace del buio, del vuoto, a differenza di tanto Novecento che ha esasperato, nichilisticamente, il senso dell’assenza mutandolo in angoscia. Nei versi di Leyva, al contrario, l’assenza si muta in mancanza, che è una forma di desiderio, di evocazione.Il motivo dell’evocazione è potente nella sua poesia dalla lingua semplice e dal pensiero complesso: il mito dell’infanzia e della prima gioventù, la città di Durango, la campagna, il cielo cobalto rimasto impresso nei suoi occhi «la pianura, l’orizzonte violetto di Durango», non assumono il significato di un originario paradiso perduto, ma semmai il senso di un’età che è stata vissuta e che non può scomparire, ma proseguire nel corso del tempo, mutata mentre muta la conoscenza del mondo.Anche se la scelta della facoltà di medicina non avvenne per vocazione ma per ragioni pratiche, i risultati suggeriscono avvenisse forse anche in obbedienza a un imperscrutabile disegno: l’orizzonte ametafisico di Leyva aderisce a una lettura scientifica del mondo, la forza del suo gesto poetico risponde a un’esigenza di difendere memoria, vita. Conferma, presenza di un senso. Come il medico, il poeta non promette la vita eterna, anzi esclude che i suoi strumenti la possano donare. Ma lotta per la salute, per la pienezza della vita. Per il bene dell’uomo, nel mistero.
Perché la poesia è necessaria?«L’uomo è linguaggio, la poesia è linguaggio, se uno manca l’altro non esiste. La poesia nomina realtà possibili dalla prospettiva dell’impossibilità. I nomi di ciò che deve accadere hanno luogo solo nella poesia. Senza la poesia non c’è memoria del sentimento, un futuro per la ragione».
C’è una relazione tra poesia e speranza?«Il destino dell’uomo è la caducità, la morte. Però la poesia ci insegna forgiare quella memoria nella quale l’uomo si proietta tra i vivi, nelle nuove generazioni, per dare senso e dignità alla propria esistenza, al suo passaggio sulla terra. La poesia è un atto d’amore totale. Questa è la sua ricerca».
Nella sua poesia, in questa prospettiva, è importante il tema del tempo.«Scoprire la prospettiva del tempo: nella mia esperienza biografica è stato passare dal micromondo che in realtà è il macromondo dell’infanzia, della campagna e del rapporto con la natura, a quell’altro universo apparentemente più ampio, ma in realtà più chiuso, che è l’ambito urbano. La città della mia adolescenza rappresentava un tempo e uno spazio dilatati. Ogni giorno era un secolo. A Città del Messico ho vissuto un’esperienza radicalmente diversa, il tempo ti scorre via dalle mani. Di colpo ti svegli una mattina e ti rendi conto che sono passati quasi vent’anni ed è come se fossi arrivato ieri».
La poesia può contribuire a una rinascita dell’uomo?«La poesia è il meglio dell’uomo, ma ciò non significa che i poeti siano i migliori esseri umani. Come dicono i poeti mistici, la poesia è un dono, e non tutti quelli che lo possiedono lo meritano».
C’è una relazione, secondo lei, tra la sfera della poesia e quella del sacro?«Non vedo una natura religiosa nella poesia, ma una presenza di misticismo, di spiritualità. I poeti autentici sono inevitabilmente spirituali, anche se solo nel momento della creazione».
Ma interrogano l’infinito…«Sì. Nel mio caso ad esempio creare immagini piuttosto che metafore. Immagini, ad esempio, che Stephen Hawking trasmette riguardo al tempo, quando ci fa capire che una stella morta migliaia di milioni d’anni fa arriva a noi come una luce appena nata. Questa è la parte spettacolare della finitudine umana, ossia la coscienza di qualcosa che è occorso nel passato cosmico, mentre lo spazio e il tempo che noi viviamo sono davvero una cosa insignificante. Però, in questo istante luminoso che è la vita, filtra la conoscenza dell’inafferrabile, dell’inaccessibile. Per me questo è il fenomeno del sogno, dell’intrasogno. In questo senso la vita è una successione di sogni, e ogni volta che sogniamo viviamo altri universi».
L’universo del sogno? Lei ha parlato, una volta, di "nostalgia dei sogni".«Io sono intriso di nostalgia dei sogni. Ci sono cose che ho sognato e che ho vissuto, il sogno è anche evocazione e necessità del passato. Ma non un mero rivolgersi al passato, no, è l’attualizzazione delle cose non appercepite: non di quelle irrimediabili, ma dei loro fantasmi».
Ha riportato in epigrafe a un suo libro il detto di Pessoa, "Non dormo, intrasogno".«Sì, nel mio libro
Entresueños pongo giustamente un’epigrafe di Pessoa che risponde alla domanda: "Non dormo, intrasogno". E più avanti riprendo alcune altre sue righe allucinanti: "Spesso il sogno ha grandi funzioni di cinema". Non c’è niente come il cinema che somigli ai sogni, alla vita, al viaggio. Forse adesso lo sostituirà la realtà virtuale, più vicina, per la sua natura, alla simultaneità con i sogni».
Romeo confonde il sonno di Giulietta con la morte, e si toglie la vita, mentre lei sta dormendo. Nella "Bella addormentata nel bosco", il cartoon di Walt Disney, il principe non crede che Aurora sia morta, anche se risulta tale, la bacia ugualmente, lei si desta: quello che poteva essere morte, con un bacio si rivela sonno. La morte...«La concezione della morte cambia con l’età. Da ragazzo non la senti, hai una percezione narcisista dell’assenza. Col passare degli anni comprendi il valore del tempo, necessario per studiare, lavorare, amare... Qui nasce la cognizione del tempo e quindi della morte, della cessazione del tuo tempo. Più sei attivo e creativo, più la morte è un problema. Ma nel mio caso non si è verificato soltanto questo passaggio che credo di ogni uomo: per me il rapporto con la morte è stato molto legato alla percezione che io avevo del dolore quando ero studente in medicina e poi medico, perché si trattava del dolore degli altri, non del mio dolore. A volte la morte degli altri, la loro morte esistenziale, o la morte di una parte della tua vita, diciamo psicologica, ti apre la strada, altre volte ti seppellisce intero... La vita e la morte esistono in un rapporto dialettico».
L’INEDITO
POETA
Alla fine si diventa ciò che si scrive o no con mano propria Chi dovrà credere al tuo nagual se non fiuta il tremore dell’immagine intirizzita morta di paura davanti agli occhi che la osservano Fascio d’ombre senza controllo in cerca del nuovo Lo smemoramento tende al cuore una trappola non volammo né andammo con le branchie addosso Sulla carta deserta si ricorda il modo di cacciare la lepre di fare sandali con la pelle dei rettili di cambiare dentro prima dell’alba Alzi il coperchio e vedi la tua stessa morte Bolle il vermicaio di lettere sotto un titolo e un altro Sembrano luci a neon coperte di cenere La tua maschera e il tuo nome occupano il posto di quella persona che non arrivasti a essere Un giorno qualunque l’affogasti col cuscino
(Traduzione di Emilio Coco) (Nagual, parola spagnola che indica un animale domestico, e demone individuale tra gli indigeni. È anche sciamano, ndr)