Il Paradiso narrato da Dante e illustrato da Gustave Doré - Archivio Avvenire
Chi si ricorda del New Age? La corrente filosofico-religiosa divenuta di moda prima negli Usa e poi in Europa, negli anni 80 e 90, è stata ben presto dimenticata dopo il passaggio di millennio: la nuova era dell’Acquario si è rivelata un’illusione. Ma alcune sue credenze, come la visione immanentista di Dio, la religiosità sincretista e la fede nella reincarnazione, sono rimaste ben presenti nell’immaginario collettivo.
«Nel New Age la reincarnazione si fa credenza di massa, in una cultura che riposa sui miti della creazione che ogni individuo produce per sé»: così Julien Ries conclude la voce "New Age e reincarnazione" nel Dizionario della vita, morte ed eternità da poco pubblicato da Jaca Book (pagine 478, euro 50). Un volume che esce a cura dello stesso Ries e di Mircea Eliade, due studiosi che nel corso del ’900 più hanno indagato i fenomeni del mito e del sacro in tutte le loro sfaccettature. L’homo religiosus è al centro di una serie notevole di Dizionari mandati in libreria negli ultimi due anni dalla casa editrice fondata da Sante Bagnoli, recuperando l’antico progetto di Eliade di ricavare dall’Enciclopedia delle religioni in lingua inglese, da lui realizzata in 16 volumi e rivolta soprattutto alle biblioteche e agli istituti universitari, alcuni Dizionari tematici indipendenti destinati alla diffusione nelle librerie dell’Europa. Tutti i volumi sono introdotti da un testo di Julien Ries, l’antropologo e cardinale belga scomparso nel 2013.
Lo studioso romeno, com’è noto, ha speso la sua esistenza nel tentativo di cogliere il significato originario di un fenomeno sacro e di interpretarne la storia. Come spiega Ries nel breve ma ricchissimo testo che introduce il Dizionario, l’homo religiosus «crede all’esistenza di una realtà assoluta che trascende questo mondo e vive delle esperienze che, attraverso il sacro, lo mettono in relazione con questa Trascendenza». Già nell’Homo habilis, e poi nell’Homo erectus e nell’Homo sapiens, si manifesta questa credenza, e le prime tombe che ci danno la certezza di una fede nella sopravvivenza provengono da Qafzeh e da Skuhl, nel Vicino Oriente, e risalgono al 90.000 a.C.: a partire da quell’epoca, tutti i popoli antichi manifestano una credenza nell’aldilà che assume varie forme.
Si va dagli Etruschi che pensavano che il defunto vivesse nella sua tomba ai Celti d’Irlanda la cui mitologia parla di un’isola lontana piena di felicità, mentre Germani e Scandinavi hanno una visione pessimista: nel luogo dove soggiornano i morti la vita è ben triste, fatta eccezione per il Walhalla, dove risiede Odino e trovano rifugio i guerrieri caduti in battaglia. Per i Sumeri i defunti abitano sottoterra, in un posto che è immobilità e silenzio, fatto di fango e polvere, mentre negli Egizi prevale l’ottimismo, come racconta il Libro dei morti: dopo il giudizio, per il defunto si apre la via di un luogo eterno dove godrà per sempre di felicità.
Spulciando tra le varie voci, da Aldilà ad Inferi, da Escatologia a Immortalità, emergono sostanzialmente due visioni della vita dopo la morte che rispecchiano una diversa concezione del tempo e della storia. Le religioni e le filosofie orientali, induismo e buddhismo in primis, concepiscono il tempo come un susseguirsi di cicli che si ripetono, in un processo che pare non aver mai fine. Opposta la posizione delle cosiddette religioni storiche, vale a dire i tre monoteismi, secondo cui la storia del mondo ha un inizio e una fine. Ma è differente anche la concezione di Dio e del divino, che può essere considerato come un essere personale al quale ci si può rivolgere attraverso la preghiera e che si può amare, oppure lo si può identificare come la realtà stessa, un principio universale ma impersonale, una sorta di sottofondo dell’universo con cui non si può entrare in rapporto.
In quest’ultimo caso si ripresenta la sfida che si diceva all’inizio, che vede oggi come opinione più condivisa in ambito non cristiano l’idea di dissolversi nell’universo. La morte non sarebbe altro che il ritorno nel grembo del creato. Ma dinanzi al manifestarsi di queste tendenze, la domanda sul nostro destino dopo la morte resta inalterata: che ne è della nostra vita, del cumulo di gioie e sofferenze? E che ne è della storia del mondo, del numero impressionante di persone che hanno subito violenze d’ogni tipo? Quale riparazione potranno avere in una vita futura? Il tanto bistrattato cristianesimo fornisce ancor oggi una risposta valida a questi interrogativi, come dimostra questo Dizionario.