La grotta di Panga ya Saidi dove ès tato ritrovato il piccolo Mtoto - Wikimedia Commons
Circa 78.000 anni fa un bambino di soli tre anni morì in una sperduta area dell’attuale Kenya (Africa). Non sappiamo per quali cause e a quel tempo morire da bambino doveva essere un fatto molto comune, sia per le malattie sia per l’aggressione di animali selvatici. Ma quel piccolo doveva rappresentare per i genitori e forse per le persone con le quali viveva, qualcosa di molto particolare.
Lo dice il modo col quale venne sepolto. Gli venne scavata una piccola fossa all’ingresso di una grotta, oggi chiamata Panga ya Saidi, venne ricoperto con un sudario e sepolto con grande cura in posizione fetale. Quella sepoltura risulta essere la più antica fino a oggi mai scoperta in Africa.
«Visitare Panga ya Saidi porta sempre a scoprire qualcosa di speciale», ha detto l’Archeologa Micole Boivin del Max Planck Insitute for the Science of Human History che ha partecipato alla ricerca i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature. «Il sito è davvero unico nel suo genere. I ripetuti scavi infatti, avevano già portato alla luce reperti di cultura, tecnologia e attività simboliche che risalgono a 78.000 anni fa a cui si aggiunge ora, la sepoltura di quel bambino».
Il ritrovamento inizia nel 2013 quando a circa tre metri sotto l’attuale pavimento della grotta, in una caratteristica buca chiaramente scavata dall’uomo, vennero alla luce piccole e delicate ossa. Erano così fragili e decomposte che non si poterono asportare. Solo nel 2017 si è riusciti a creare una specie di intonaco attorno ad esse che ha permesso di poterle estrarre senza danneggiarle ed essere trasportate al laboratorio del Cenieh (Centro nazionale di ricerca sull’evoluzione umana) in Spagna per le analisi di dettaglio.
«Dapprima ci sono apparse parti del cranio che presentava la mandibola ancora del tutto intatta, al cui interno vi erano dei denti», ha spiegato l’archeologa Maria Martinon-Torres del Cenieh, che ha continuato: «Anche l’articolazione della colonna vertebrale e delle costole si è sorprendentemente preservata nel tempo e si è conservata anche la curvatura della gabbia toracica, un elemento che dice che la sepoltura non è mai stata disturbata».
Il ritrovamento in Africa della sepoltura di un bimbo di 3 anni apre a nuove conferme sulla probabile credenza di una vita oltre la vita fra i Sapiens di quell’epoca e sull’attenzione particolare nei confronti dei più piccoli
L’età di Mtoto, questo è il nome che gli archeologi hanno voluto dare al bimbo e che sta per “bambino” nella lingua Swahili, è stata stabilita con precisione grazie allo studio dei denti. Alcuni elementi poi, fanno pensare che venne avvolto da un sudario prima di essere sepolto sotto il terreno del pavimento della grotta di allora. Il sudario comunque, è svanito nel tempo. La dislocazione post mortem della testa di Mtoto suggerisce che essa venne appoggiata su di un supporto o un cuscino di materiale deperibile perché anch’esso, oggi, non esiste più.
Tutto ciò fa pensare che quegli uomini abbiano svolto delle pratiche funerarie. Difficile avere un’idea di quel che pensavano ci fosse dopo la morte, ma certamente la morte incuteva in loro qualcosa di particolare. «Il rispetto, la cura, la tenerezza con cui seppellirono Mtoto, come il fatto di mettere il bambino sdraiato in una posizione che lo fa sembrare quasi addormentato, dicono che quegli uomini vivevano in un mondo fisico, ma anche simbolico», ha detto Martinón-Torres.
È interessante il fatto che anche un’altra sepoltura di un bambino di Homo sapiens che risale a 74.000 anni fa, scoperta in una grotta del Sud Africa, fu anch’essa curata con grande dedizione. Questo suggerisce che le morti di bambini piccoli fossero eventi su cui si prestava molta cura e attenzione, anche se ad oggi avendo a che fare con solo due ritrovamenti di questo tipo non è semplice tirare conclusioni generali.
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