giovedì 22 settembre 2022
In giorni infuocati e velenosi di campagna elettorale, dove non mancano colpi bassi e accuse reciproche, è una boccata d’aria pura leggere il “decalogo di Barbiana” dettato da don Lorenzo Milani il...
Il testamento politico di Barbiana. Un decalogo per chi amministra
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In giorni infuocati e velenosi di campagna elettorale, dove non mancano colpi bassi e accuse reciproche, è una boccata d’aria pura leggere il “decalogo di Barbiana” dettato da don Lorenzo Milani il 31 luglio 1966, circa 11 mesi prima della sua morte a soli 44 anni, ad Alessandro Mazzarelli. Lui riporta fedelmente quel colloquio, o meglio quel lascito di responsabilità e impegno per la vita, nel volume Il sogno di Don Milani, pubblicato da Libreria Editrice Fiorentina (pagine 140, euro 16,00). Un testamento politico che brilla per trasparenza: il priore lo affida al giovane tuttofare della Federazione fiorentina del Partito socialista che gli sembrava onesto, il ragazzo stenografa con attenzione le sue parole intrise di coerenza evangelica. In 79 anni di vita, Mazzarelli ha pubblicato diversi libri dedicati al priore di Barbiana, di cui il 27 maggio 2023 ricorrerà il centenario della nascita.

«Don Milani ha parlato molte volte di politica ma non è mai entrato, come in questo caso, nel merito dei principi da seguire dai politici onesti», evidenzia nella prefazione Giannozzo Pucci, direttore della Lef, ricordando che u-no di quei dieci punti «è diventato legge: l’obbligo della dichiarazione pubblica di tutti i redditi e le proprietà da parte dei politici eletti, ma non ogni anno come indica il decalogo, bensì all’inizio e alla fine del mandato. Tangentopoli, che ha spazzato via un’intera storia e classe politica, ha dimostrato che questa regola da sola non basta». Ancora, il divieto di ricoprire più di una carica pubblica esisteva già «con la legge 60 del 1953 che si limitava ad alcune incompatibilità, integrate dal reato del conflitto di interessi». E poi don Lorenzo chiede la riduzione degli stipendi dei politici in nome di «un servizio e non un privilegio professionale, evitando qualsiasi contrasto personale con gli altri servitori», il divieto di sommare cariche pubbliche e di movimento o partito, «di costituire correnti o gruppi di potere»: «come fa un politico a fare gli interessi della gente, a servire il bene comune, se è ricattato e ricattabile dalla sua cattiva condotta? È necessaria una “scala dei meriti” per scegliere chi candidare».

Sembrano indicazioni quasi ovvie (e magari utopistiche, per qualcuno) da parte di chi insegnava ai ragazzi «il culto dell’onestà, della lealtà, della serenità, della generosità politica e del disinteresse politico», come scriveva di suo pugno. Precisando: «Tutte le costruzioni di leggi morali e tutte le scrupolose onestà, quando negano un qualsiasi legislatore trascendente, sono a dir poco penosamente incoerenti». L’autore, che ha promesso al sacerdote «di non tradirlo» e lo considera «profeta » oltre che «gran servitore della Chiesa», ammette che non è ancora conosciuto «il suo “sogno” etico-politico col quale voleva cambiare i cattolici e la politica», un decalogo che i credenti «e tutti gli uomini di “buona volontà” impegnati nella “carità” dell’attività politica, dovrebbero rispettare come i Comandamenti». Poi ricorda che «si era decisamente ribellato» ai tentativi di «strumentalizzazione » dei comunisti: altro che prete rosso. Ad Alessandro chiede, «se eletto ad una carica pubblica, di versare, salvo le spese che devi documentare, tutto quel che ti vien dato alla Curia di Firenze affinché finisca nelle mani delle suore di clausura: le loro umili preghiere sono un vero e proprio parafulmine sull’umanità. Dio le apprezza moltissimo ». E aggiunge, inequivocabilmente: «È la Provvidenza che ci aiuta e ci ispira, basta pregare e pregare».

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