martedì 15 ottobre 2024
Non si sa esattamente a cosa si riferisca la posa del capolavoro conservato ai Musei Vaticani. Gli studi fatti danno interpretazioni diverse ma tutte affascinanti
Apollo del Belvedere

Apollo del Belvedere - Ansa

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Non si sa esattamente a cosa si riferisca la posa di quel capolavoro che è l’Apollo del Belvedere conservato ai Musei Vaticani. Gli studi riferiscono l’atteggiamento del dio all’episodio in cui lancia le sue frecce contro il serpente Pitone, l’enorme rettile che era a guardia del santuario di Delfi.

A raccontarne la storia è l’Inno omerico riferito dalla critica a Cineto di Chio, aedo di grande fama, attivo nel VI secolo a.C. L’uccisione del serpente, liberò il santuario e Apollo, che in questo modo vendicò la madre Leto (la Latona dei Romani), insidiata da Pitone, assunse il nome di Pizio, oppure di Delio, dal nome del santuario. Tuttavia, potrebbe riferirsi anche al passo dell’Iliade (I, 43) che descrive il dio seminare morte nel campo degli Achei, all’apertura del poema omerico. Certo è che i versi «lanciò una freccia e fu pauroso il ronzio dell’arco d’argento… mirando sugli uomini» sono quelli che meglio accompagnano l’incedere elegante del capolavoro di Leochares. È questo lo scultore che continua ad essere considerato dagli studiosi l’autore dell'originale. Questa ipotesi sarebbe poi rafforzata dalla notizia dell’ipotetico prototipo frontonale di Olimpia, dove Leochares lavorò per Alessandro verso il 330 a.C. Tuttavia, se fosse vera l'identificazione con l’Apollo opera di Leochares citata da Pausania (I, 3, 4), bisognerebbe pensare che l' Apollo del Belvedere sia copia del pendant all'Apollo Alexìkakos di Calamide. La scultura, infatti, fu rinvenuta nel 1489 fra i ruderi di una domus situata nel sito del Viminale e subito acquistata dal Cardinal Giuliano della Rovere per la sua collezione. Quando divenne papa con il nome di Giulio II nel 1503, fece portare il capolavoro in Vaticano dove già nel 1508 fu collocato nel cortile del Belvedere.

Nel corso dei secoli, l’opera fu oggetto di svariati restauri, a iniziare dall’integrazione della mano ad opera del Montorsoli, per continuare con le attenzioni che gli riservò Canova e il più recente restauro del 1981 che interessò la rimozione del perno di ferro fra le scapole che si stava arrugginendo e il riposizionamento dei perni della coscia, sostituiti con adeguati elementi di acciaio. Adesso, dopo quasi cinque anni di lavori, grazie al generoso contributo della Bank of America, si è dato vita – nel 2021 – all’Art Conservation Project con la collaborazione del capitolo italiano e Internazionale dei Patrons of the Arts in the Vatican Museums, si è concluso il Restauro in equilibrio tra tecnologia e filologia, come recita il sottotitolo della conferenza stampa che si è svolta oggi presso i Musei Vaticani.

Ne hanno parlato il Direttore dei Musei Barbara Jatta, il Vicedirettore Scientifico Giandomenico Spinola, Guy Devreux, responsabile del Laboratorio di Restauro Materiali Lapidei, Andrea Felice e Valentina Felici, del Laboratorio di Restauro Materiali Lapidei, e Fabio Morresi, responsabile del Gabinetto di Ricerche Scientifiche. È intervenuta anche Sabrina Zappia, Presidente del Capitolo Italiano e Internazionale dei Patrons. «Grazie alle operazioni di pulitura, altrettanto delicate e complesse, la superficie marmorea della scultura ha gradualmente riacquistato luminosità e vigore plastico; tra i riccioli è riemerso il colore violaceo che attesta la preparazione per l’applicazione della foglia d’oro sulle chiome.», ha precisato il Cardinal Vérgez Alzaga che ha provveduto allo svelamento ufficiale dell’Apollo del Belvedere.

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