venerdì 16 maggio 2014
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​Una casa trasparente, alta tre piani, in mezzo a Parco Sempione. E in ogni "appartamento" quattro musicisti. Che danno vita alla prima de Le piano africain, la nuova composizione di Ludovico Einaudi che oggi alle 20 inaugurerà a Milano l’edizione 2014, la terza, di Piano City. Quest’anno la manifestazione cresce: 200 pianisti coinvolti in 320 eventi in tutta la città (tram compresi). Le piano africain è un’opera ambiziosa che vede riuniti sei pianoforti, due marimbe e quattro balafon «un lontano cugino del pianoforte, che ho incontrato nel 2000 in occasione del mio primo viaggio in Mali» dice Einaudi che stasera suonerà insieme a Maurizio Ben Omar (marimba), Michiel Bortslap (pianoforte), Naby Camara (balafon), Naudy Carbone (marimba), Fassery Diabate (balafon), Lansana Diabate (balafon), Lansiné Kouyate (balafon), Gianluca Mancini (pianoforte), Federico Mecozzi (pianoforte), Cesare Picco (pianoforte), Andrea Rebaudengo (pianoforte). Come suona il "pianoforte africano"?«È come tornare alle origini, un viaggio nel tempo. Mescola il presente e gli antenati. Suona più semplice e insieme molto ricco e complesso, carico di significato. Il suo è un segno in un certo senso rozzo, ma dotato di una forza incredibile. Credo che abbia senso guardare ogni tanto da dove veniamo, vedere se nel percorso si è perso qualcosa...» Ha lavorato su materiali musicali africani?«Non esattamente. Il brano è pensato come uno spazio dove accogliere tutti allo stesso modo. È una strana mescolanza tra la nostra tradizione scritta e quella orale loro. Conoscendo però la musica del Mali ho creato una dimensione basata sugli stilemi di quella tradizione, che i musicisti possono riconoscere e gestire. È una specie di habitat sonoro».Pianoforte, marimba, balafon. Sembra anche un ensemble molto "novecentesco".«Sì, può ricordare il suono ritmico di Stravinskij. Il lavoro alterna momenti calmi e melodici ad altri di grande forza ritmica. Ho cercato di creare spazi di libertà, di mettere segni nel canovaccio in cui ognuno può riversare l’impulso del momento. Si tratta di una sorta di caleidoscopio, in cui ogni musicista si può divertire».Com’è nata l’idea della struttura che ospiterà il concerto?«Volevo per Le piano africain uno spazio aperto. Poteva essere un palazzo con la facciata incompiuta, un edificio in demolizione, un garage. La struttura, leggera, trasparente, vuole suggerire una sorta di casa comunicante con le finestre aperte, posta però in un parco che è nel cuore della città. Rispetto a un concerto, dove è normale sedersi e guardare un palco, questa è una sorta di installazione sonora, a cui si può assistere da molto lontano. Abbiamo deciso di farla double face: può essere vista da due parti. È posta nel "cannochiale" del parco, la prospettiva tra Arco della Pace e Castello».Che tipo di pubblico è riuscito a raccogliere in questi anni “Piano City”?«Mi sembra una platea molto variegata. Tantissimi giovani. C’è sicuramente una parte di pubblico più specializzato, ma è riuscita a coinvolgere una fascia di persone che forse non è più abituata ad andare ai concerti. È stata colpita dalle proposte, si è sentita coinvolta dalla scelta dei luoghi e dalla dimensione quasi da festa che c’è dentro la manifestazione. Ha fatto scoperte».
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