Il nuovo film di Ermanno Olmi, Il Villaggio di cartone (passato a Venezia) che arriva in 80 sale il 7 ottobre, inizia con un lungo braccio meccanico che stacca il Crocifisso dal soffitto di una chiesa. «E lo pone in terra, come uno sconfitto». Un avvio che genera inevitabili due domande: perché quella chiesa spogliata? perché quel Crocifisso in terra? «Questo non è un film realistico – risponde Olmi ai giornalisti, incontrati a Roma – È un apologo. E quella chiesa è un simbolo: rappresenta la Chiesa che spogliata di tutto torna ad essere la Casa di Dio. Il luogo dove possano rifugiarsi i miseri e i derelitti». La pellicola, interpretata da Michael Londsdale, Rutger Hauer, Alessandro Haber e Massimo De Francovich, tocca i temi dell’immigrazione e della solidarietà, con un prete cui viene chiusa la parrocchia e che, nella sua chiesa ormai spoglia, si ritrova ad accogliere un gruppo di clandestini dall’Africa. Scomodo e problematico, destinato a far discutere, il film di Olmi provoca. E i giornalisti provocano lui, chiedendogli: la sua è una denuncia contro la gerarchia? «Quando Cristo ordinò a Pietro di fondare la Chiesa non si riferiva ad un luogo fisico. Ma alla comunità dei credenti. Al centro della chiesa di Cristo infatti c’è l’uomo » spiega Olmi. Il regista poi aggiunge: «Cristo è la più grande novità della storia, ma mi rendo conto che è irraggiungibile. Eppure non riesco a togliermi quel Crocifisso dagli occhi. È un’ossessione che bisogna accettare. Come quella dell’innamorato. Quest’ultimo prima trasforma la sua ossessione in un’icona, poi la traduce in azione, verbo: amare. Un verbo che libera». Poi, Olmi spinge sull’acceleratore della provocazione: «In giro ci sono tante 'chiese', religiose, culturali e laiche, che servono a far sentire molti protetti, rassicurati. Cos’altro è, per esempio, la Borsa, se non una chiesa idolatra dove il denaro è stato elevato a dio? E i partiti politici? Non sono forse chiese idolatriche anche loro? Ecco: per essere davvero liberi noi dovremmo liberarci di tutte queste 'chiese' e del loro falso senso di protezione. E avere, al contrario, il coraggio di comprometterci in prima persona». Come? «All’immigrato affamato non basta più indicare la strada della Caritas. Bisogna invitarlo a casa propria. E non ha senso adottare a distanza i bambini africani, se poi, quando quei bambini arrivano da noi, li ricacciamo indietro. Noi non dovremmo aiutare qualcuno solo perché ha bisogno. Ma perché è nostro amico. "Io vi ho chiamati amici", dice Gesù». Solo questa coerenza dona vera libertà, afferma Olmi. «Una libertà che costa, naturalmente. E che spesso il credente paga con la solitudine».E nel cinema italiano Olmi s’è mai sentito solo? «Quando il cinema era tutto di sinistra, anzi apparteneva tutto alla sinistra, io ero felicemente contento di non appartenere a nessuno. Ecco: è stato allora, che mi sono sentito solo». Fatale chiedere, all’autore d’un film che, pure simbolico, è immerso nell’attualità più concreta, un parere sulla realtà del nostro Paese. «Siamo alla vigilia di un grande cambiamento. Ci siamo arrivati in ritardo, distratti dalla corsa alla ricchezza. Ora io sono convinto che il Cristianesimo sia la più grande novità nella storia del mondo. E in Italia c’è un cattolicesimo ben radicato; che certe volte, però, dimentica di essere cristiano. Infatti, come le merci si muovono ovunque a causa del mercato globale, oggi sono i popoli, a muoversi. Ecco perché non riusciremo mai a fermarli: sarebbe stupido solo pensarlo. E allora, da cristiani, dovremmo capire quanto gli altri popoli possano rappresentare, per tutti, una nuova idea di civiltà». Anche sul tema della ricchezza, il regista non usa mezze misure: «Essere stra-ricchi, sopra un certo livello, è un crimine. Perché toglie ricchezza agli altri».