Il fuoriclasse azzurro dello sci di fondo, il 34enne Federico Pellegrino - Ansa
Sveglia all’alba dopo tre giorni filati di gara a Ruka. Trasferimento in pulmino all’aeroporto di Kuusamo, quindi volo per Helsinki e successivamente altro aereo per Oslo. Infine in autobus verso Lillehammer, sede delle prossime gare di coppa del mondo di sci di fondo. Il primo lunedì di dicembre di Federico Pellegrino è all’insegna degli spostamenti, ma il veterano della squadra azzurra non fa una piega e racconta al telefono dalla Norvegia sensazioni e stati d’animo legati alla sua sedicesima stagione nel circo bianco.
Federico, sabato scorso per la prima volta in carriera è stato il più anziano atleta al cancelletto di partenza di una sprint.
«Gli anni passano, la carta d’identità non mente. Ho 34 primavere sul groppone, ma il fisico mi dà ancora una mano, sebbene più di qualche capello grigio inizi a farsi vedere. Mi diverto a fare questo lavoro e vado avanti perché sono felice. Quando ho realizzato di essere il più maturo del lotto non ho provato né piacere né dispiacere».
Qual è il segreto della sua longevità?
«Porsi obiettivi di vita chiari, aspetti che non riguardano solo l’atleta, bensì l’uomo Federico Pellegrino, ed essere contento di quello che si fa».
Essere diventato papà di Alexis alla fine del 2022 le ha cambiato le carte in tavola?
«Mi ha trasformato in positivo e ha mutato il mio orizzonte lavorativo. Ero sempre stato abituato a guardare avanti nel lungo termine, ponendomi come orizzonte il quadriennio. Con l’arrivo del pargolo la famiglia è passata al primo posto, se in passato mi arrabbiavo per tante piccole cose, adesso è diverso. Non ho più voglia di sprecare energie per aspetti marginali».
In primavera arriverà anche il secondo figlio. Un altro maschietto. Avete già deciso il nome?
«No, insieme a mia moglie Greta Laurent, ex azzurra del fondo, ne abbiamo selezionati alcuni, ma ancora non siamo alla scelta definitiva. Per fortuna stavolta il bambino arriverà fuori dal periodo delle gare, evitandomi le corse che ho dovuto fare due anni fa».
Nella tappa iniziale è stato eliminato per cinque centimetri in semifinale. Il settimo posto che sapore ha avuto?
«Dolce, perché ho comunque capito di essere ancora competitivo. Nelle prima prove di Coppa in Scandinavia tutti tirano al massimo per farsi notare e per assicurarsi un pettorale per l’intera stagione. Da quando approderemo sulle Alpi avremo un quadro più chiaro. Comunque sono soddisfatto della mia freschezza, essere riuscito a scattare in faccia a ragazzi più giovani di 10-15 anni mi dà grande fiducia».
Stavolta a Lillehammer si tornerà a gareggiare sul vecchio tracciato di Birkebeineren. Si ricorda chi vinse l’ultima sprint lì disputata?
«Certamente, fui io nel 2019. Negli anni recenti per via di problemi di innevamento ci avevano fatto gareggiare sulla pista del biathlon, adesso torniamo nell’arena del fondo».
A proposito di Norvegia, il suo primo Mondiale fu a Oslo nel 2011, quello di marzo a Trondheim sarà l’ultimo torneo iridato?
«Sì, l’approccio a oltranza ormai non c’è più. L’orizzonte è limitato. Questa stagione e la prossima, poi chiuderò. L’obiettivo per la rassegna iridata del 2025 sarà dare filo da torcere ai norvegesi in casa loro».
Attenzione a non farli arrabbiare, perché poi i vichinghi potrebbero vendicarsi ai Giochi italiani del 2026.
«L’Olimpiade di Milano-Cortina, con le gare di fondo in Val di Fiemme, sarà il capitolo conclusivo della mia carriera. Ho deciso di allungare fino a quel traguardo perché ho compreso che avrei dovuto guidare i giovani della squadra verso un obiettivo ambizioso: riuscire a vincere una medaglia in staffetta. Che sia quella a coppie o quella tradizionale non importa, ciò che conta è riuscire a piantare il tricolore sul podio olimpico in una specialità a squadre».
Peccato che la tradizione sia stata infranta e che per uniformare le distanze tra uomini e donne la frazione della staffetta sia stata ridotta di 2 chilometri e mezzo. Non più 4x10, ma 4x7,5.
«È un segno inequivocabile dei tempi. Si è voluto parificare l’impegno di maschi e femmine, eliminando le differenze di genere. La Fis ne ha fatto un ragionamento etico, che bisogna accettare. Al di là di questo il fatto che siano stati lanciati quattro format, la sprint, la 10 chilometri, la 20 chilometri e la 50 chilometri, ha portato a un’evoluzione del fondista, che contemporaneamente deve essere veloce e resistente».
Si può dire che siete diventati tutti polivalenti e gli specialisti non esistono più?
«Al Mondiale di Planica del 2023 i primi due della sprint sono stati anche i primi due, a posizioni invertite, della 50 km. La caratteristica del fondista odierno è la velocità da stanchi, in funzione della quale si sono rivisti tutti i programmi di allenamento. Per semplificare si fanno più chilometri, ma si va più piano».
Quale la cosa di cui va più fiero?
«Essere riuscito a ispirare i giovani. Con i miei risultati ho innescato un processo nel quale i ragazzi devono essere valorizzati prima come individui e poi come atleti».