Fulvio Panzeri (1957-2021) - Effigie
È sempre straziante partecipare al funerale di un amico, ma lo è ancor più quando questo amico se ne è andato prematuramente, quasi senza che ci sia stato il modo di rendersene conto. Così è accaduto per Fulvio Panzeri, al quale abbiamo dato l’ultimo saluto oggi nella chiesa parrocchiale della sua Renate, in Brianza. Ci illudiamo di avere davanti a noi un tempo infinito, e così rimandiamo gli appuntamenti, quelli importanti. Con Fulvio ci eravamo detti che saremmo andati a pranzo in un buon ristorante dalle sue parti, per festeggiare il suo pensionamento dalla scuola. Le difficoltà legate alla pandemia ci avevano portati, nei mesi scorsi, a posticipare quell’incontro. Lunedì, quando ho appreso la notizia della sua morte, mi sono tristemente reso conto che non potrà più accadere. A pranzo in quel ristorante andrò da solo, o magari con altri amici, quelli che avevo in comune con lui, per ricordarlo insieme.
Mi scuso se ora parlerò anche un po’ di me, ma credo sia utile per far capire chi era davvero Fulvio Panzeri. Quando - ero molto giovane - scrissi una monografia su uno degli scrittori da lui più amati, Pier Vittorio Tondelli, si era speso con la sua autorevolezza per aiutarmi a pubblicarlo. Roberto Cicala, direttore editoriale di Interlinea, si era fidato di lui (prima ancora - immagino - che della qualità del mio lavoro) e così lo aveva dato alle stampe. Con grande generosità, Panzeri ci aveva regalato una fitta cronologia della vita e delle opere di Tondelli, che aveva arricchito quel libro in modo significativo.
La medesima generosità l’ho vista nei confronti di tanti altri giovani, soprattutto scrittori. Forse l’aveva appresa dallo stesso Tondelli, che nella seconda metà degli anni ’80 aveva lavorato alacremente al Progetto Under 25, grazie al quale molti autori esordienti avevano cominciato a farsi conoscere. Anche Fulvio svolgeva un assiduo lavoro di editing, correggendo a penna - con la sua bella, nitida grafia da "maestro" - i dattiloscritti che gli venivano sottoposti da aspiranti narratori. E quando intuiva che ci fosse la stoffa, di certo non si risparmiava. Sono davvero molti gli scrittori che hanno iniziato a pubblicare grazie a lui.
Del resto la tensione pedagogica gli era connaturata. Non è un aspetto marginale della sua biografia il fatto che abbia insegnato per una vita alle scuole elementari del suo paese. Come notava lunedì Alessandro Zaccuri nel suo commosso ricordo, Fulvio Panzeri avrebbe meritato, per i suoi fondamentali contributi su vari autori (da Pasolini a Testori, fino allo stesso Tondelli), una cattedra universitaria. Ma insegnare ai bambini non è mai stato un ripiego, anzi: per lui era una vocazione. Alcuni anni fa Eraldo Affinati scrisse su "Agorà" un bellissimo articolo intitolato "Insegnare: un modo di essere padre". Credo che Fulvio abbia sperimentato ogni giorno dei lunghi anni di insegnamento questa verità professionale e insieme esistenziale.
In tanti gli dobbiamo molto. Personalmente, credo di aver imparato alcune cose sul mestiere di critico "militante". Per esempio che bisogna leggere il più possibile, per farsi un’idea precisa del panorama. Fulvio era un lettore instancabile. Una curiosità culturale onnivora era la sua cifra distintiva. Poi, però, si tratta di fare una selezione improntata a precisi valori (etici ed estetici). Altro aspetto fondamentale: non limitarsi alla produzione italiana, ma coltivare uno sguardo in grado di abbracciare il mondo. Solo così si può uscire da una visuale ristretta e provinciale. Con la sua scomparsa, chi gli ha voluto bene ha perso un carissimo amico. La letteratura italiana ha perso uno dei suoi migliori critici.