Il cantautore Franco Simone, oggi al Quirinale per la nomina a Cavaliere della Repubblica
e un giorno di questi, dal suo buen retiro salentino, Franco Simone, classe 1949, sesto di nove figli nato ad Acquarica (Lecce), dovesse scrivere la sua ricca e avventurosa autobiografia potrebbe intitolarla “Io, cantante eroe dei due mondi, ma censurato da sempre”. Anche per questa affinità elettiva stasera, all’Officina Pasolini di Roma al concerto promosso da Ernesto Bassignano omaggia un “censurato storico” come il cantautore Umberto Bindi (1932-2002). Per gli smanettoni digitali e i loro distratti genitori tatuati («quelli che li educano, anzi li diseducano al culto degli oggetti firmati», dice mastro Simone) informiamo che stiamo parlando del cantante italiano più ascoltato e venduto nel continente Latinoamericano. E questo fin dai mitici anni ’70 celebrati in pompa magna da Gianni Minà.
Quest’anno Franco Simone festeggia le nozze d’oro con la musica «la cosa più bella che c’è e che mi consente di esprimere ancora tutto me stesso». Al 1972 infatti risale il suo debutto con botto: vinse l’allora prestigioso Festival di Castrocaro con la canzone Con gli occhi chiusi (e i pugni stretti). Da lì in poi un percorso senza discese ardite, ma solo risalite dal Respiro ampio e profondo. Con brani come Respiro appunto, Tu per me «colonna sonora fatta e rifatta in tutte le salse» ePaesaggio «che cantano negli stadi: Paisaje intonava Messi alzando la Copa America». Evergreen, che ieri scalavano le classifiche delle hit-parade dei paesi sudamericani. «Solo in Argentina sono stato 1° per 11 volte, non mi risultano altri artisti italiani capaci di tanto». Confermiamo.
E come sottolineava da queste colonne il critico Andrea Pedrinelli: «Non c’è Bocelli e Pausini che tengano, è ancora Franco Simone l’italiano più popolare in Sudamerica ». Una scossa la sua musica, con epicentro in Cile. Oltre 8milioni di copie vendute nelle varie cover di Paesaggio, 30mila spettatori a un concerto a Quito, in Ecuador «dove per uscire per la strada mi avvertirono che per i tanti fan che avevo ci volevano le guardie del corpo». Ma questa passione latina ha alimentato anche una delle tante leggende metropolitane che lo vogliono da sempre distante dall’Italia, irraggiungibile, sfuggente e addirittura refrattario ai media e ai programmi nazionalpopolari, che invece l’hanno boicottato sul nascere.
«Raimondo Vianello e Sandra Mondaini mi confessarono che mi volevano ospite al loro programma del sabato sera su Rai1 ma il “noto regista” gli riferì che io avevo declinato l’invito con un perentorio “mi fanno schifo sia i conduttori che la trasmissione”. Niente di più falso, io adoravo Sandra e Raimondo e da loro ci sarei andato a piedi ». Dai boicottaggi orchestrati dietro le quinte, al “caso politico” della Gondola d’O-S ro, Venezia 1978. «Avevo vinto già nel ’77 con Tu è così... sia e feci il bis con la cover Il cielo in una stanzadi Gino Paoli, ma per protesta contro una Rai in cui non avevo libero accesso, decisi di rifiutare il premio e di consegnarlo a una bimba seduta in prima fila, alla quale avrei detto in diretta: spero che la tua generazione un giorno possa vivere in un’Italia più giusta e più democratica. Ma Pippo Baudo mi strappò il microfono di mano. In un’altra circostanza in conferenza stampa arrivò a definirmi il “pupillo della destra” a causa di un’interpellanza parlamentare contro di lui e di cui mi riteneva responsabile... Ci tengo a ricordare a distanza di un “secolo” che sempre nel ’78 rifiutai una onorificenza che mi davano i colonnelli argentini di Videla e che gli Inti Illimani mi hanno ringraziato pubblicamente dicendomi: “Con le tue canzoni hai reso più vivibile la vita dei nostri figli quando sotto il regime di Pinochet fummo costretti all’esilio”. Altro che cantore della destra, la mia unica bandiera, era e rimane la musica».
E pensare che il giovane Franco, liceale esemplare, era destinato a un futuro da ingegnere. «Anche perché l’artista di casa Simone era mia sorella Silvana, e solo per gioco cominciai a comporre canzoni per lei. Il maestro Migliardi che era di casa un giorno mi fa: “Franco prova, gettati anche tu nella mischia”. Poco tempo dopo, all’unico Festival per cantautrici che Silvana vinse, durante la cena presi una chitarra e cominciai a canticchiare. Il critico del Corriere della SeraGigi Speroni rimase stupito e disse: “Oh, questo è il nuovo Modugno, se lo portiamo a Milano sfonda”. Profetico». Quello che fino al giorno prima era semplicemente «il fratello di Silvana Simone», divenne il divo Franco.
«Il mio successo così improvviso ha creato disarmonia con Silvana, con la quale sono rimasto molto legato fino all’ultimo. È morta un anno e mezzo fa e mi dispiace che non abbiamo mai duettato, nonostante glie lo abbia chiesto più volte, così come non è mai venuta ospite a nessuna delle 150 puntate che ho registrato per Sky». Ritorno a quella tv che l’ha “condannato” in gioventù. «Dicevano che ero troppo telegenico per essere credibile quando eseguivo canzoni che parlavano di amori sofferti o perduti... Non avendo santi in paradiso hanno fatto in modo di non chiamarmi quasi più». Ma in Rai poi è tornato per “Music Farm”, ed è andata ancora peggio.
«Mi chiamò Iva Zanicchi che mi considerava uno dei suoi amici più cari. Mi volle come autore, poi cominciai a cantare e l’effetto sui telespettatori fu dirompente. Ero, lei disse, destinato alla vittoria, così con gli altri cantanti la signora Iva si mise a tavolino e proclamò: “Adesso ci penso io a fermarlo!”. Ci sono le registrazioni che parlano per me... Sono cose che mi hanno fatto male ». È lo stesso dolore ostracizzante che hanno subito artisti come Mia Martini, Giuni Russo, Marco Masini, Umberto Bindi e Luigi Tenco. «Mia Martini quando era al culmine della disperazione, per via di quella assurda nomea di “jettatrice”, mi incontra, mi abbraccia forte e con la voce di un passerotto tremante mi sussurra: “Grazie Franco, so che tu parli sempre bene di me”. Era avanti a tutte, solo questa è stata la sua colpa. Così come Luigi Tenco ha pagato quel suo non volersi omologare e perseguire una strada tutta sua che l’ha portato al suicidio. Anche se sia la morte di Mimì che di Luigi li considero degli “omicidi della massa”. Quanto al povero Bindi è nato in un’epoca in cui l’omosessualità, così come la droga non era tollerata, mentre dopo di lui con quello stile di vita c’ha costruito una carriera».
Per la bontà della sua di carriera, oggi Franco Simone passerà dal Quirinale dove gli verrà conferito il Cavalierato all’Ordine della Repubblica. «È una delle grandi soddisfazioni di questo periodo, come il corso di lingua spagnolo nelle università americane sulla “migliore musica italiana”. Sul poster che lo pubblicizza ci sono i volti di Modugno, Dalla, De Andrè e del sottoscritto». Tre maestri e colleghi amati e di cui può vantare una stima reciproca, come quella che lo lega a Giuliano Sangiorgi dei Negramaro, Gino Paoli, Mario Biondi... «la grande Mina che arrivò a consigliarmi di cantare la sua splendida canzone L’ultima occasione dicendomi: “Franco, questa sono sicura che la faresti bene”. A distanza di 44 anni sto seguendo il suo consiglio: l’ho inserita nel mio nuovo disco, il 2° album della trilogia che si intitola In totale 50. Sempre oggi, esce il singolo Fiore di gioventù: «Per la prima volta canto in napoletano con una grande voce della world music come Antonio Amato».
È un momento pieno di progetti per Franco Simone che porta in giro nel mondo il suo sogno «finalmente realizzato» di mettere in musica lo Stabat Mater di Jacopone da Todi: «Alla faccia di quegli pseudointellettuali detrattori, per fortuna decaduti da un pezzo, proseguo con il mio lavoro che considero un dono di Dio. Ma ripeto, ho sofferto tanto e mi ritrovo in quella splendida immagine di papa Francesco quando dice “il sudario non ha tasche”. Ogni volta che torno a Buenos Aires ringrazio sempre gli argentini per il regalo che ci hanno fatto con questo Papa che sta compiendo quella stessa rivoluzione che fece Gesù, e prego tanto che possa portarla a termine guarendoci dall’invidia, dal cinismo e l’avidità che sono le vere pandemie dalle quali dobbiamo vaccinarci, tutti».