Un videocartello e una voce suadente prima delle trasmissioni inadatte ai ragazzi sono ormai il fragile argine per proteggere i più piccoli di fronte alla cattiva tv. «Attenzione, questo programma può nuocere ai minori. Si consiglia di attivare il
parental control», si legge sul piccolo schermo mentre uno speaker traduce il messaggio che appare. Una volta comparso l’avviso, qualsiasi programma che rischia di danneggiare bambini e adolescenti può essere mandato in onda: senza più alcun vincolo di orario. «È l’effetto dell’ultima riforma legislativa che riscrivere il rapporto fra televisione e minori in Italia», spiega la responsabile delle politiche culturali del Censis ed esperta di media,
Elisa Manna. Che lancia l’allarme: «Con la svolta normativa che a torto è stata presentata come un rafforzamento delle tutele, le emittenti possono trasmettere tutto e a qualsiasi ora del giorno, compresi i contenuti nocivi che talvolta possono sfociare in quelli gravemente nocivi».Di fatto film vietati ai minori di quattordici anni o trasmissioni con linguaggio volgare e immagini violente sono già entrate nella programmazione dei pomeriggi tv e della prima serata. Perché la nuove norme che hanno dato il via libera ai palinsesti «selvaggi» individuano come unica barriera il filtro elettronico dei televisori, chiamato con la locuzione anglosassone
parental control. «E dal punto di vista legale le reti hanno le spalle coperte – sostiene Manna –. Anzi, sulla carta non avrebbero bisogno neppure di mandare in onda quel cartello che invita ad attivare il dispositivo». La svolta delle regole fa ricadere sulle famiglie ogni responsabilità. «Il legislatore – chiarisce la ricercatrice – ha consentito alle stazioni tv di avere le mani libere purché i genitori siano informati».Ma i numeri dicono che la strategia non funzione. Il libro bianco dell’Agcom «Media e minori» presentato a gennaio spiega che appena una famiglia su quattro ricorre abitualmente il
parental control, mentre quasi il 50% dei genitori non lo utilizza o addirittura ignora che cosa sia. Va meglio quando si ha a che fare con i «bollini» (rossi e arancioni) che sullo schermo indicano i pericoli del programma: sono apprezzati da sei famiglie su dieci. Altrettanto positiva l’accoglienza fra le mura domestiche dei consigli verbali di conduttori o presentatori che sono considerati validi dalla metà dei nuclei familiari.Certo, quando si chiede a madri e padri se siano preoccupati per gli effetti che scene o programmi nocivi possono avere sui loro figli, appena un 1% dichiara che si esageri con gli allarmismi. Il resto, ossia il 99% – e la cifra è a dir poco bulgara –, afferma che i timori sono più che giustificati. Ciò che turba di più è l’intolleranza e la volgarità che trasbordano dal piccolo schermo (per il 44% delle famiglie). Poi ci sono le «parolacce sentite in tv», il cattivo esempio dato dall’aggressività televisiva e il consumismo (tre temi che sono considerati "minacce" dal 27% dei genitori). Inquietante anche l’imitazione dei personaggi violenti che i ragazzi possono fare nei loro giochi (21%) e l’invito all’omologazione e al conformismo che viene dalla tv (19%).«La sola soglia che oggi non può essere superata – conclude Manna – è quella sui programmi vietati ai minori di 18 anni che non vanno trasmessi in chiaro e hanno bisogno di un sistema di protezione specifico. Tutto ciò dimostra che la tutela dei minori non va. E che va rivisto il quadro normativo».