«È la musica, che mi ha aiutato nei momenti duri. Ed è per questo che credo ancora in lei: credo che possa migliorare l’essere umano». La voce è sicura, anche se proviene sottile e un po’ bofonchiata dall’altra parte dell’Oceano. E fa un po’ effetto trovarsi in un pomeriggio d’inverno a scambiare due chiacchiere con David Crosby, artista inserito già due volte nella Hall of Fame del rock, come membro dei Byrds e per la collaborazione con Nash e Stills: faccenda non male, se consideriamo che il suo curriculum oltre a ciò prevede pure il celebre quartetto Crosby Stills Nash & Young (da Hall of Fame ad honorem) e l’attività da solista. Un’attività di gran livello, che ha visto Crosby esordire nel ’71 con un album che di recente l’Osservatore Romano ha collocato al secondo posto fra le pietre miliari del rock (dietro ai Beatles), e di recente lo ha fatto applaudire con Croz nel 2014 e ora con Lighthouse. Quest’ultimo è un album in cui David Crosby riflette su amore, società, uomo e cielo senza orpello alcuno, anzi: raffinatissimo, delicato, capace di sussurrare pure quando grida e così di costringere ad ascolto, riflessione o commozione, Lighthouse è interpretato tutto con voce, chitarra e poco altro. Se ne sta lontanissimo dagli standard delle radio anche se la sua “acustica” è di altissimo profilo, ed è un disco che si poteva permettere solo un’icona come David Crosby. Un signore che dopo averne passate tante (lutti, pesante dipendenza dalle droghe, un trapianto di fegato quale unica chance per vivere) è ancora qui con voce ferma e consapevole a cantarci cosa ci sta davvero intorno, chi siamo, chi dovremmo essere, persino che esiste un oltre: evocato, fra titolo e copertina del Cd, da un faro che indica il porto nella tempesta. Perché David Crosby crede ancora, nella musica terapia e insieme etica, e ce l’ha bofonchiato con voce sottile in un tramonto che per lui, seimila chilometri più a ovest, aveva luce e colori del mezzogiorno.
Ha fatto ben due dischi in due anni: cos’è cambiato?
«Ho lavorato molto con altri, nel tempo, perché le canzoni ti nascono dentro da sole: ora ne stanno nascendo molte per me, e per anni non era accaduto».
Sono canzoni forti, queste. “ The us below” è una riflessione, dolorosissima, sull’uomo sperso del terzo millennio. Che cosa l’ha ispirata?
«Pensavo a come ci comportiamo gli uni con gli altri, a quanto sono sviliti i rapporti umani… Ed è nata».
“Look in their eyes” è più specifica…
«È per i rifugiati del Medio Oriente, per chi va sui barconi. Sento molto la loro difficoltà di vivere e non avverto umanità per chi è nelle loro condizioni: è terribile non si sia capaci di aiutare gli altri».
“Somebody other than you” prende la stessa riflessione da un altro versante: giusto?
«In un certo senso sì: l’ho centrata sui politici che mandano a morire i figli altrui. Parlano, ma quando agiscono privilegiano gli affari alla coscienza».
Lei pensa ancora che una canzone cambi qualcosa?
«Sì! Una canzone richiama il buono dell’uomo, lo stimola a crescere e anche a cercare, oltre che il meglio per sé, di dare il meglio per gli altri».
Si può definire “umanistico” questo suo lavoro?
«Sì, esatto. So che è difficile per l’uomo capire certe cose, ma io spererò nell’uomo fino alla fine. Le persone sono in grado di lottare col peggio e il futuro è in loro, non nei soldi o in altre brutture».
Il faro del Cd è anche metafora di una spiritualità?
«Certo. Lo canto in brani come By the light of common day («Affronta ogni giorno con fede / Una grande forza di luce / arriverà ad alzare la voce per poi rialzare te», nda). Il faro è simbolo di qualcosa cui credo perché io per primo riuscii a farcela».
Cosa ha imparato dai quei suoi momenti peggiori, soprattutto quelli del tunnel delle droghe?
«Non si impara, in certi periodi. E io ne ho passati di tali che non voglio ricordare: fu terribile».
Quando canta l’amore per sua moglie in “Things we do for love”, canta una vita di rispetto e sacrifici: pensa che i giovani d’oggi sentano così, l’amare?
«È difficile, certo. Qualcuno poi è saggio altri meno… Però io credo nell’uomo anche guardando ai ragazzi. E posso dire che non sarei capace di cercare il senso delle cose, senza avere lei accanto».
Quali sono oggi i problemi più grandi dell’America?
«Sono troppi… Su tutti però metto il denaro, che compra il Congresso e di conseguenza detta le leggi. Poi l’economia di guerra, qualcosa di terrificante ».
Chi è oggi, nel 2017, David Crosby?
«Una persona completamente focalizzata sul futuro. Penso solo a quello, mai a ieri. Ho due dischi in cantiere con altri e un altro solista già completo al novanta per cento… Perché il mio è un discorso che continua, ho voglia di dire ancora cose important».