Beati i tempi nei quali le crociate erano un capitolo del manuale dei libri di scuola: e, al più, si discuteva se erano state davvero 'guerre per la fede' secondo l’interpretazione tradizionale, manifestazioni di barbara intolleranza come voleva il signor di Voltaire oppure sovrastrutture di una dinamica socioeconomica d’incontro fra differenti sponde del Mediterraneo secondo le tesi storicistiche a tinta blandamente marxiana. Oggi, mentre gli specialisti proseguono più o meno indisturbati le loro ricerche (salvo quando incautamente accettano d’intervenire a 'tavole rotonde' televisive e affrontarvi l’offensiva dei soliti 'esperti'…), il mondo della divulgazione più o meno qualificata, degli amateurs, dei bloggers e soprattutto degli islamofili e degli islamofobi, dei 'buonisti' e dei 'cattivisti', rigurgita di tesi e di controtesi la più innocua delle quali è ormai quella, oggi stantìa, dello 'scontro di civiltà'. Comincia comunque a venir prodotto anche qualche libro di sintesi che prende atto del rinnovato, ma spesso malinteso interesse sul fenomeno e ne tenta una decodificazione culturale.
È quanto propone ad esempio Pedro García Martín, docente di Storia moderna nell’Università autonoma di Madrid, del quale viene ora tradotto, a cura di Saverio Russo dell’Università di Foggia, un libro dal titolo ambizioso, L’immaginario delle crociate. Dalla liberazione di Gerusalemme alla guerra globale (Bari, Edipuglia, 2016), che si pone quindi sulla scia di autori importanti in materia, quali Paul Alphandéry e Alphonse Dupront (o, più recentemente, T.F. Madden, G. Poumarède, C. Tyerman) fornendoci non tanto una storia degli avvenimenti che segnarono le singole spedizioni (le quali non si fermarono al medioevo ma continuarono sotto l’aspetto delle guerre contro gli ottomani) quanto dei modi politici, propagandistici, letterari, culturali secondo i quali esse furono intese, interpretate, lodate, criticate, condannate.
Insomma, qui si tenta una storia del dibattito sulle crociate, anzi delle polemiche, che tiene forse un po’ troppo nell’ombbra i controversisti e i polemisti, ma che ha in cambio per esempio il vantaggio (dal momento che l’autore è spagnolo) di allargare lo sguardo alle crociate in terra iberica, quelle di solito sintetizzate sotto l’etichetta della Reconquista: e il lettore, che è rimasto forse un po’ deluso a causa del mancato esame delle crociate 'cismarine' o contra christianos, viene in cambio gratificato di un divertente capitolo su don Chisciotte e di alcune informazioni sul rapporto tra idea di cruzada e storia spagnola, che di solito nel mondo italiano sono poco note.
Non mancano alcuni accenni alla situazione odierna con tutte le sue perversioni (dai theoconservative americani agli jihadisti) e perfino un esame dei videogiochi dedicati alle crociate. Si resta con la voglia di saperne di più: ma è tuttavia già qualcosa.
Decisamente più sostanziosa sul piano scientifico e più esauriente anche su quello degli argomenti la monografia di Paul M. Cobb, La conquista del Paradiso. Una storia islamica delle Crociate ( Torino, Einaudi, 2016), impostata sul rapporto tra quel che delle imprese crociate di solito conosce il lettore 'occidentale' e quel che invece viene evidenziato dalle fonti musulmane: le quali non compresero mai che quelle che essi chiamavano hurub al-franjyya ('guerre dei ’franchi’', cioè degli europei occidentali) erano invece hurub as-salibyya ('guerre della croce'), che cioè le varie spedizioni di guerra o di razzia fossero sostenute da una serie di giustificazioni religiose, giuridiche, insomma da una 'cultura'.
Un tema questo che, adeguatamente conosciuto, potrebbe oggi forse meglio sostenere le ragioni dei fautori delle crociate come 'scontro di civiltà': peccato che ci si trovi dinanzi, in questi casi, a interlocutori in genere intellettualmente poco dotati. Ovviamente, il tema abbordato da Cobb era già stato affrontato anni fa da Amin Maalouf in un celebre saggio, e prima ancora da Francesco Gabrieli in un prezioso libretto che Cobb non mostra di conoscere. D’altronde, la moda di 'attualizzare' le crociate, spingendole fino ai giorni nostri, ha se non altro il merito di aver acceso l’interesse per le loro vicende anche al di là di quello che fino a poco tempo fa si considerava il tempo del loro esaurirsi, la seconda metà del Duecento.
Escono ormai molti lavori, anche buoni e addirittura eccellenti, dedicati alla 'crociata dopo le crociate' e a 'l’autunno delle crociate': studi sulla crociata nel XV, XVI e anche XVII secolo, come quelli di Gerard Poumarède o di Marco Pellegrini. In quest’ambito va registrata con soddisfazione anche la pubblicazione di un libro di Vito Bianchi, che è uno studioso interessante e uno scrittore di ottima qualità e che ha dedicato di recente a Otranto 1480. Il sultano, la strage, la conquista (Laterza) un bel libro, documentato e vivacissimo.
Si sa bene come la questione di Otranto e dei suoi 'martiri' sia ancor oggi molto dibattuta: anche di recente, studiosi come Hubert Houben e Giancarlo Andenna, si sono trovati loro malgrado coinvolti in polemiche del tutto extrascientifiche per aver riconsiderato sotto il profilo critico il racconto devozionale e tradizionale di quell’evento. Vito Bianchi ne fornisce una ricostruzione ben ancorata alle fonti e al dibattito storiografico in corso, mostrando tra l’altro come quell’episodio vada inquadrato nella guerra che in quegli anni infuriava nella penisola tra il papa e il re di Napoli da una parte, Firenze e Venezia dall’altra.
Che le diplomazie veneziana e fiorentina fossero coinvolte nell’assalto ottomano alla città pugliese è altamente probabile: un episodio che sconvolgesse le carte e 'obbligasse' i cristiani ad abbandonare le loro contese per unirsi contro gli infedeli sarebbe stato molto utile alla parte per la quale la guerra stava andando peggio: ch’era appunto la veneziano-fiorentina. Il che toglie al tragico accaduto gran parte del suo fascino di 'guerra di civiltà', ma forse lo rende più logicamente comprensibile.