martedì 20 marzo 2012
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C’è un genere cinemato­grafico che, anche se sal­tuariamente frequenta­to, ogni volta solleva entusiasmi, polemiche, passioni. È il cinema cosiddetto «civile»: quello che cioè ambisce stimolare nello spettato­re l’aspirazione ad importanti i­stanze sociali. Nessuno in Birma­nia ha ancora potuto vedere The Lady («So che è il film più "pirata­to" del paese – confida il suo regi­sta, Luc Besson – e che ne circola­no in cassetta innumerevoli copie illegali»); ma intanto in tutto il mondo questa pellicola sta susci­tando emozione e scuotendo co­scienze.Con un abile mix tra gesta pubbliche e vicende private della protagonista, e con l’intensa in­terpretazione, nei suoi panni, del­l’attrice di Hong Kong Michelle Yeoh, The Lady narra infatti la sto­ria di Aung San Suu Kyi: la leader birmana premio Nobel per la Pa­ce, per 14 anni imprigionate e a tutt’oggi fortemente limitata nelle sue libertà personali, a causa del­la lotta per la democrazia nel suo paese.Quando Besson lesse una frase della minuta ma inflessibile si­gnora («Usate la vostra libertà per aiutarci ad ottenere la nostra») capì che il suo film poteva avere un va­lore perfino superiore a quello semplicemente artistico. «E così ho accettato di girarlo. Fino a quel giorno di Suu Kyi io sapevo quel che sanno tutti: molto poco. Sono stato costretto a documentarmi su fonti letterarie e filmati giornali- stici clandestini, giacché la nostra protagonista era i­navvicinabile. Ho dovuto girare in Thailandia, giac­ché la Birmania è ovvia­mente impenetrabile. E in­fine ho cercato di dosare i drammatici accadimenti della lotta politica di que­sta donna straordinaria (le persecuzioni, gli attentati, l’interminabile prigionia) con le sofferenze di una travagliata vita familiare (la stra­ziante necessità di dover scegliere fra il marito e i figli da una parte, e l’impegno pubblico dall’altra)». Il risultato è una biografia vibran­te ed avvincente, che della solo apparentemente fragile leader bir­mana fornisce un ritratto docu­mentato e credibile. Nonostante Besson non abbia mai potuto in­contrarla.«In Birmania sono an­dato solo pochi giorni (cinque an­ni fa il visto turistico poteva dura­re solo 24 ore!) e dal momento in cui sono sceso dall’aereo mi sono accorto che ero seguito. Una volta ho fatto perfino "ciao" con la ma­nina ai miei pedinatori. Tutto il paese è sotto una cappa di assolu­to controllo: sono tutti così terro­rizzati che io non sono mai riusci­to a farmi confidare da qualche birmano un parere su Suu Kyi». Il prossimo 1 aprile, però, in Bir­mania sono previste le elezioni. L’occasione per una storica svolta, o l’ennesima recita ad uso dell’oc­cidente? «Indicendo queste ele­zioni il governo birmano s’è spin­to troppo avanti per fare ora mar­cia indietro. La mia convinzione è che il 1 aprile Suu Kyi 1 sarà eletta al parlamento, e fra 3 o 4 anni di­verrà presidente della Birmania. Lei si batte per democrazia: non ambisce al potere né al denaro, co­sì non può essere né tacitata né corrotta. Se poi la uccidessero si scaverebbero da soli la fossa. Or­mai Suu Ky è un’eroina planetaria. Troppo conosciuta e amata nel mondo intero». Forse un po’ an­che grazie a The Lady.
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