C’è un genere cinematografico che, anche se saltuariamente frequentato, ogni volta solleva entusiasmi, polemiche, passioni. È il cinema cosiddetto «civile»: quello che cioè ambisce stimolare nello spettatore l’aspirazione ad importanti istanze sociali. Nessuno in Birmania ha ancora potuto vedere
The Lady («So che è il film più "piratato" del paese – confida il suo regista, Luc Besson – e che ne circolano in cassetta innumerevoli copie illegali»); ma intanto in tutto il mondo questa pellicola sta suscitando emozione e scuotendo coscienze.Con un abile mix tra gesta pubbliche e vicende private della protagonista, e con l’intensa interpretazione, nei suoi panni, dell’attrice di Hong Kong Michelle Yeoh,
The Lady narra infatti la storia di Aung San Suu Kyi: la leader birmana premio Nobel per la Pace, per 14 anni imprigionate e a tutt’oggi fortemente limitata nelle sue libertà personali, a causa della lotta per la democrazia nel suo paese.Quando Besson lesse una frase della minuta ma inflessibile signora («Usate la vostra libertà per aiutarci ad ottenere la nostra») capì che il suo film poteva avere un valore perfino superiore a quello semplicemente artistico. «E così ho accettato di girarlo. Fino a quel giorno di Suu Kyi io sapevo quel che sanno tutti: molto poco. Sono stato costretto a documentarmi su fonti letterarie e filmati giornali- stici clandestini, giacché la nostra protagonista era inavvicinabile. Ho dovuto girare in Thailandia, giacché la Birmania è ovviamente impenetrabile. E infine ho cercato di dosare i drammatici accadimenti della lotta politica di questa donna straordinaria (le persecuzioni, gli attentati, l’interminabile prigionia) con le sofferenze di una travagliata vita familiare (la straziante necessità di dover scegliere fra il marito e i figli da una parte, e l’impegno pubblico dall’altra)». Il risultato è una biografia vibrante ed avvincente, che della solo apparentemente fragile leader birmana fornisce un ritratto documentato e credibile. Nonostante Besson non abbia mai potuto incontrarla.«In Birmania sono andato solo pochi giorni (cinque anni fa il visto turistico poteva durare solo 24 ore!) e dal momento in cui sono sceso dall’aereo mi sono accorto che ero seguito. Una volta ho fatto perfino "ciao" con la manina ai miei pedinatori. Tutto il paese è sotto una cappa di assoluto controllo: sono tutti così terrorizzati che io non sono mai riuscito a farmi confidare da qualche birmano un parere su Suu Kyi». Il prossimo 1 aprile, però, in Birmania sono previste le elezioni. L’occasione per una storica svolta, o l’ennesima recita ad uso dell’occidente? «Indicendo queste elezioni il governo birmano s’è spinto troppo avanti per fare ora marcia indietro. La mia convinzione è che il 1 aprile Suu Kyi 1 sarà eletta al parlamento, e fra 3 o 4 anni diverrà presidente della Birmania. Lei si batte per democrazia: non ambisce al potere né al denaro, così non può essere né tacitata né corrotta. Se poi la uccidessero si scaverebbero da soli la fossa. Ormai Suu Ky è un’eroina planetaria. Troppo conosciuta e amata nel mondo intero». Forse un po’ anche grazie a
The Lady.