mercoledì 11 marzo 2020
Da domenica su Rai 1 la fiction "Bella da morire” con Cristiana Capotondi. Il regista Molaioli «Più che un film di denuncia vuole essere un appuntamento di riflessione pensato per la tv generalista»
L’attrice Cristiana Capotondi nella miniserie di Rai 1 “Bella da morire”

L’attrice Cristiana Capotondi nella miniserie di Rai 1 “Bella da morire”

COMMENTA E CONDIVIDI

Donne, femminicidio e verità. Da domenica 15 marzo su Rai 1 andrà in onda Bella da morire, una nuova serie sul tema contemporaneo degli omicidi che si consumano tra le mura domestiche a opera di mariti, fidanzati ed ex. Il titolo potrebbe in qualche modo attirare e allo stesso tempo depistare, ma la serie, che sarà trasmessa per quattro domeniche di fila, è costruita su più livelli narrativi nei quali le indagini sul femminicidio sono il cuore pulsante della storia, ma lo sono ancora di più le protagoniste.

Eva Cantini (Cristiana Capotondi), è una donna insolita: fa l’ispettrice di polizia, si è appena trasferita lontano dalla sua città per stare accanto alla sorella Rachele (Benedetta Cimatti), una trentenne sempre in crisi d’amore, e a suo nipote Matteo. Eva è sola, si rifugia in Tinder per i suoi appuntamenti e fughe dal lavoro: il suo volto freddo e distante, quasi sempre giudicante, non è mai illuminato da un sorriso. Solo quando incontra per caso Gioia (Giulia Arena), aspirante Miss che le regala la sua maglietta, dopo aver sporcata, per un momento di distrazione e con un succo di mirtillo, quella di Eva. Sarà l’unico momento in cui rivedrà Gioia da viva.

«Bella da morire – racconta Andrea Molaioli, che con il bel film La ragazza del lago, il suo esordio cinematografico aveva vinto ben 10 David di Donatello – è un’opera di finzione: gli sceneggiatori hanno lavorato sulla documentazione giudiziaria e sulla cronaca per creare una credibilità nello sviluppo drammaturgico. Però la serie non è allo stesso tempo costruita sul realismo e sul naturalismo allo stato puro. Dentro la triste realtà del femminicidio ci siamo ispirati a personaggi e personalità che conosciamo e che sono a noi vicini, però nella serie non ci sono elementi ed eventi strettamente legati alla cronaca nera. Bella da morire è girata in un’ipotetica provincia del Nord, che non ha connotazione regionale, né esclusivamente italica, ma è un luogo che porta con sé problematiche e angosce contemporanee».

Sono altre due le donne che affiancano Eva: Giuditta Doria (Lucrezia Lante della Rovere), un pubblico ministero che non ha tempo per sé stessa e distaccata apparentemente dalle indagini. L’iniziale incontro tra Eva e Giuditta sarà uno scontro: entrambe non conoscono cosa significhi arrendersi e perseguono a qualunque costo il proprio obiettivo professionale.

C’è al centro della drammaturgia televisiva una declinazione precisa e strutturata sulle emozioni delle protagoniste vittime del femminicidio e di quelle che cercano di indagare e trovare l’assassino: «Il tema del femminicidio – prosegue il regista – è disseminato nella storia come meccanismo connesso al potere maschile, alla violenza domestica, ma è legato soprattutto a una varietà di ruoli femminili che, anche quando sono poco presenti nelle puntate, manifestano una complessità strutturale lontana dai possibili cliché. Ogni personaggio, in particolare modo quello femminile, anche quello apparentemente più marginale, ha una dignità drammaturgica: non è stato inventato in quanto funzionale al racconto, ma affinché la sua ricchezza e la sua empatia sia condivisibile dallo spettatore».

Un’altra figura necessaria alla storia è quella di Anita Mancuso (Margherita Laterza), un giovane medico legale, che si affianca al personaggio dell’ispettore. L’intreccio tra queste tre donne genera una delicatezza narrativa nel trattare un tema complesso senza cadere nel facile giudizio: «È difficile – spiega il regista – mantenere salda l’indignazione verso l’omicidio di una donna e non maturare pregiudizi che condannano frettolosamente. Il femminicidio è un crimine, figlio di una cultura che conferisce alla donna una posizione subalterna, soprattutto quando accade in un coté familiare. Il femminicidio non nasce perché frutto di una realtà sociale difficile, ma attraversa la società e non è legata a un determinato ceto. Dovremmo avere superato da decenni questo sguardo giudicante nei confronti della donna e quella cultura che porta drammaticamente alla violenza e alla morte. Accade però che l’uomo trovi nella violenza l’unica ragione per ripristinare quello che avverte, spesso, come la perdita della sua supremazia. Bisogna agire su quella cultura: per questo ho voluto lavorare, insieme agli sceneggiatori, su una serie che partisse da un tema cosi attuale come quello del femminicidio. Ragionare sulle origini del crimine è doveroso per noi autori».

Bella da morire si presenta perciò come una serie non strettamente legata alla dimensione investigativa: lentamente i personaggi che la abitano sono sempre di più rivelatori della complessità del fenomeno criminale. « Bella da morire – conclude Andrea Molaioli – non è una serie di denuncia morale, ma vorrebbe essere un appuntamento, creato per la tv generalista, che possa portare alla riflessione su questo fenomeno contemporaneo. Non perché vogliamo insegnare qualcosa, ma perché abbiamo voluto affrontare una storia contemporanea con garbo e rispetto. Come uomo ho voluto osservare il fenomeno non esternamente, ma dal di dentro: quando l’autore si avvicina al dolore o a ciò che sia apparentemente distante dal vissuto personale, si può comprendere meglio la realtà circostante».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: