Il film "Bar Giuseppe" di Giulio Base
Chi potrebbero essere oggi Giuseppe e Maria? Giuseppe è un sessantenne che gestisce il bar e la stazione di servizio d’una zona rurale della Puglia, rimasto vedovo con due figli già adulti e problematici. Bikira (che in swaili significa “vergine”) ha 20 anni, è sbarcata da poco dall’Africa, è dolce e sorridente nonostante le tante traversie passate. Giuseppe la assume come cameriera. I due si innamorano creando grosso scandalo nel paese. E si sposano, nonostante il conflitto coi figli di lui. Sono loro i protagonisti di Bar Giuseppe, il nuovo film di Giulio Base che, dopo essere stato presentato a ottobre al Festa del Cinema di Roma, doveva arrivare in sala. Bloccato dal Covid–19, verrà proposto in esclusiva questa sera alle 21 su Rai Play, il film scritto e diretto dal regista, è la seconda pellicola dell’iniziativa realizzata da Rai Cinema e RaiPlay dal titolo La Rai con il Cinema Italiano.
Bar Giuseppe è una storia bella e delicata che mette insieme i temi sociali del lavoro dell’accoglienza e dell’emarginazione. La pellicola, prodotta da One More Pictures con Rai Cinema, è stata appena nominata ai Nastri d’Argento per il miglior soggetto, sempre di Giulio Base. Quella che propone il regista è una raffinata e asciutta riflessione sul significato, per credenti e non, della Sacra Famiglia oggi. In particolare della figura “misteriosa” di Giuseppe cui presta il volto un Ivan Marescotti di rara intensità. Accanto a lui l’esordiente Virginia Diop, e i bravi Nicola Nocella, Michele Morrone, Vito Mancini.
«Un enigma laico, ma anche un film sul lavoro e sul silenzio – racconta il regista –. Tutto nasce dal mio incontro con un libro del cardinale Giafranco Ravasi dal titolo Giuseppe. Il padre di Gesù, scoperto per caso. Per me è stata una esplosione emotiva. Mi sono accorto che, anche da credente, non avevo mai approfondito la conoscenza di Giuseppe. Nei Vangeli viene citato 9 volte e non dice mai una parola. E, come dimostra questa emergenza, il silenzio è un valore». Di qui l’enorme responsabilità di trasformare la storia di Giuseppe e Maria in un racconto moderno. «Ho studiato tanto l’argomento, valendomi di una bibliografia sterminata. Non volevo fare un film agiografico, da catechismo, ma uno molto più libero, dove non c’è una presa di posizione totale. Ma non volevo neanche dare scandalo e sarebbe stato facile» aggiunge Giulio Base che racconta di avere mostrato in anteprima il film al cardinale Ravasi per ricerverne l’autorevole parere. «Ho raccontato la più rilevante storia d’amore, quella da cui nasce Gesù, quell’uomo che segna non solo la storia della civiltà cristiana, ma quella di tutto il mondo – aggiunge Base –. Un amore che crea scandalo. C’è una storia d’accoglienza dentro questa storia d’amore tra due persone così diverse. Ho voluto raccontare l’abbattimento di questi muri e un uomo che, anziché respingere, tende una mano per accogliere».
Ma è anche un film sul lavoro, perché Giuseppe è un uomo che lavora, che offre lavoro e si preoccupa del lavoro spiega il regista, attratto anche dall’essere “migranti” di Giuseppe e della sua sposa. «Gli esiliati, ieri e oggi, sopportano le stesse condizioni: l’angoscia di non essere accolti, cosa mangiare, dove abitare, con quale lavoro. Da figlio di migranti, assisto al degenerare delle loro speranze – prosegue il regista –. Papà e mamma arrivarono a Torino da Napoli negli anni ’60 e mi ricordo ancora i cartelli con scritto “non si affitta ai meridionali”. Siamo tutti profughi».
Il volto del Giuseppe di Marescotti, scolpito nel legno, è l’archetipo del padre su cui ci si interroga molto anche oggi ed è ispirato al padre di Giulio Basee. «Simbolo di un’umanità che non strepita, che passa impercettibile e anonima in questo mondo ma che spesso viene coinvolta in eventi imperscrutabili – spiega il regista – Mi sono interrogato su temi metafisici non solo a partire dai testi biblici o dai magisteri ecclesiastici ma anche sull’etica che oltrepassa le barriere della religione. Ho tentato anche di dare una lettura laica dell’uomo Giuseppe, padre senza tempo, dai valori condivisibili dai credenti e non». Infine Giulio Base svela di avere appena finito di girare Un cielo stellato sopra il ghetto di Roma. Girata con il patrocinio della Comunità ebraica capitolina, « è una storia dove presente e passato si intrecciano e che riporta al ‘43 e al tragico rastrellamento del 16 ottobre. E’ film con cui proviamo ad abbassare altri muri, fra cristiani ed ebrei».