giovedì 23 giugno 2016
Baldisseri, il pianista porporato
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«Chopin è il mio autore preferito. Non solo perché è l’espressione più alta dell’arte pianistica, ma anche perché si confà al mio temperamento e alla mia sensibilità, portata verso l’arte romantica ». Si illuminano gli occhi al cardinale Lorenzo Baldisseri, quando ci parla di musica, seduto accanto al pianoforte Steinway che campeggia nel suo ufficio a due passi da San Pietro. «Ne ho altri due a casa, uno Steinway che mi ha regalato mio fratello, e un Petrof. Li uso per continuare a studiare, dopocena ogni giorno per tre ore. Sa, non sono Benedetti Michelangeli», si schernisce sorridendo l’alto prelato, che dimostra molto meno dei suoi 75 anni, energico e diretto come ogni buon toscano (è nativo di Barga). In realtà il cardinale Baldisseri è un apprezzato musicista di lungo corso che ha accettato di raccontare il suo lato meno conosciuto ad Avvenire, proprio negli uffici del Sinodo dei vescovi di cui è segretario generale dal settembre 2013. Un ruolo delicatissimo, quello ricoperto da Baldisseri, creato cardinale da papa Francesco nel 2014, dopo 40 anni passati presso le nunziature apostoliche di Guatemala, El Salvador, Giappone, Brasile, Paraguay, Francia, Zimbabwe, Haiti, India, Nepal e Brasile. Anni in cui ha continuato a perfezionare i suoi studi musicali, iniziati presso il Pontificio istituto di musica sacra a Roma, e proseguito con maestri come Enzo Borlenghi e come il grande maestro brasiliano João Carlos Martins. Proprio in Brasile sono state registrate le tracce del triplo cd Florilegio musicale, appena pubblicato da Libreria Editrice Vaticana, in cui il porporato interpreta, con tocco asciutto ed elegante, trentatré brani di grandi autori, da Chopin a Debussy, Bach, Puccini e Piazzolla. Baldisseri li presenterà in concerto giovedì 30 giugno (ore 20.30) presso la Basilica di Sant’Anselmo all’Aventino, a Roma, accompagnato al flauto dall’abate priore Nokter Wolf e dal commento del compositore Marcello Filotei. Il 10 luglio, poi, Baldisseri terrà un concerto al Brompton Oratory di Londra. Eminenza, quale proposta musicale troviamo nel suo “Florilegio musicale”? «Ho scelto dei pezzi che siano fruibili da un ampio pubblico, accompagnati da note esplicative che spero siano utili ad avvicinare i giovani. Due dei tre cd li avevo registrati (ma mai pubblicati) nel 2007 e nel 2012 quand’ero nunzio apostolico in Brasile. Di Chopin ho inserito ben 8 brani. Non potevano mancare giganti come Mozart e Bach, passando per Debussy sino a chiudere con Rachmaninov. Ma ho voluto inserire anche autori che andrebbero rivalutati, come il polacco Oginski e il francese Satie. Rendo poi omaggio ai miei 'conterranei' Puccini (col Valzer di Musetta) e Mascagni con l’Intermezzo da Cavalleria Rusticana ». Lei pone una particolare attenzione alla musica ispanica. «Una figura chiave per la rinascita della musica spagnola è Albéniz, di cui eseguo Granada e Asturias. Mentre vorrei far riscoprire un talento prolifico come Heitor Vilal Lobos, una vera 'leggenda' in Brasile che nelle sue Bachianas Brasileiras fonde le musiche popolari del sertão brasiliano e i procedimenti contrappuntistici del genio tedesco». E l’argentino Piazzolla? Un omaggio a papa Francesco? «Nasce da una “gaffe”. Al termine dell’Assemblea straordinaria del Sinodo sulla famiglia, il Papa venne nei nostri uffici. Purtroppo l’ascensore si era appena rotto, e Francesco dovette salire quattro faticose rampe di scale: era stanchissimo. Lo feci accomodare nel mio studio e, siccome ero in grave imbarazzo, cercai di “alleviare” la sua fatica suonandogli al piano tre brani, tra cui il tango Adiòs Nonino di Piazzolla che ho inserito nel cd». E per Benedetto XVI, anche lui pianista, ha mai suonato? «Sì. Lo incontrai nel 2007 quando venne in Brasile per la V Conferenza dell’episcopato latinoamericano ad Aparecida. Durante il pranzo in nunziatura, suonai al pianoforte e lui mi invitò a Castel Gandolfo. L’estate stessa lo raggiunsi e tenni un concerto privato di cinquanta minuti. Erano presenti anche suo fratello Georg, compositore, e mio fratello maggiore Silvio, sacerdote e organista. Al termine, eravamo quattro fratelli che parlavano tra loro di musica, degli autori preferiti.... È stato indimenticabile». Quindi lei aveva viveva già la musica in famiglia da ragazzo? «Mio fratello suonava e io lo accompagnavo cantando. Avevo una voce straordinaria, e quando entrai nel seminario di Pisa a 12 anni mi esibivo nel coro delle voci bianche da solista. A 13 anni, era il 1953, interpretai anche un’operetta da protagonista, e vollero registrarmi. Poi, all’improvviso, la voce cambiò. Preoccupati per me, che mi ero tanto appassionato alla musica, i miei superiori mi indirizzarono al pianoforte. E fecero bene. Divenni, più tardi, il maestro di musica del seminario, poi mi perfezionai e continuo a studiare tutt’ora». Lei ha suonato nei tanti Paesi dove è stato nunzio apostolico? «La musica ha avuto un ruolo fondamentale, per me, in molte negoziazioni diplomatiche, soprattutto per l’accordo tra la Santa Sede e il Brasile firmato nel 2008. Io ho sempre suonato per i magistrati, i politici, i diplomatici che mi venivano a trovare. La musica aiuta il dialogo superando le barriere, culturali e linguistiche». Nella sua missione lei è sempre stato molto attento anche ai giovani... «Io per i giovani sono sempre in prima fila. Sin dai tempi in cui ero parroco a Querceto. Avevo formato una band con i ragazzi: loro alle chitarre elettriche, io al pianoforte. Suonavamo le hit dell’epoca, anni ’67-68, Battisti in testa». Secondo la sua esperienza, la musica avvicina a Dio? «La musica è l’arte che davvero avvicina di più lo spirito a Dio. La “Bellezza è Dio stesso”. Per me le due vocazioni, quella artistica e quella religiosa, vanno di pari passo, arricchendosi l’una dell’altra. La mia missione pastorale viene prima di tutto, ma cerco di ritagliarmi il tempo per suonare perché nutre anche la mia fede».
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