«Cancellata la storia dell’arte dalla scuola ». Una bufala, per fortuna, che rimbalzava in rete grazie ai social network nelle scorse settimane e non del tutto arrestata. Eppure la levata di scudi è servita. Perché se le discipline storico artistiche non sono sparite dalle aule certo non godono di ottima salute. E il falso allarme ha contribuito a riportare l’attenzione su un insegnamento che in Italia – anche se è un’altra bufala quella per cui avremmo la maggior parte del patrimonio mondiale (è un fatto oggettivo: non esiste un inventario mondiale dei beni culturali, nemmeno il nostro Paese ne ha uno completo) – dovrebbe essere scontato. Eppure non lo è. Almeno dal 2008, quando la riforma Gelmini all’ordine «meno ore, più approfondimento » ha ridotto l’orario complessivo di tutti gli indirizzi di studio. La nostra materia è stata una delle più intaccate. Ridotta Storia dell’arte nei licei artistici e cancellata dai bienni del classico, dove era stata introdotta grazie alla legge Brocca (ma è stato aumentato lo storico esiguo monte ore del triennio). Cancellate Disegno e storia dell’arte dai bienni e Disegno nei trienni dei licei delle scienze umane e linguistici, mentre in quello sportivo le materie sono assenti del tutto. Colpiti anche gli istituti tecnici dove la disciplina aveva un ruolo centrale, come nel Turistico. Ecatombe nei professionali: cancellata da corsi come Alberghiero- Turistico, Grafica e comunicazione e Tecnico dell’immagine fotografica; via le sei ore per l’indirizzo Moda. Aboliti del tutto gli Istituti d’arte – i geometri, che pure hanno tanto peso nelle sorti del territorio italiano, non l’hanno mai studiata, anche prima della riforma. Tentativi di recuperare il terreno perduto non sono mancati, ma senza successo. Ai primi di febbraio, il ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza aveva dichiarato di stare «lavorando per inserire di nuovo ore di storia dell’arte con un programma ad hoc », ma il progetto si è arenato con la caduta del governo Letta. «Carrozza si era impegnata già a dicembre sul fatto che il 2014 sarebbe stato l’anno per riprogrammare l’educazione all’arte, non solo la storia ma anche la pratica» conferma
Marinella Galletti, presidente di Artem Docere, giovane associazione nazionale che raccoglie docenti di Storia dell’arte e di Disegno. «Eravamo stati invitati ai tavoli tecnici di febbraio – spiega – il percorso stava per partire. Ora è tutto incerto. E alcune premesse di questo nuovo corso non ci convincono». Più aperta invece la posizione di Anisa, associazione che dal 1951 raccoglie gli insegnanti di storia dell’arte. «È presto per capire cosa farà il nuovo ministro ma siamo fiduciosi – commenta la presidente
Irene Baldriga –. Questa polemica tardiva ha avuto il merito di evidenziare un senso identitario e un’esigenza formativa da parte degli italiani. È questa la leva giusta per sollecitare le decisioni dei politici». Artem docere è particolarmente critica con la riforma Gelmini: «La didattica dell’arte è uno degli strumenti privilegiati per creare nei cittadini consapevolezza di sé, della propria storia e del territorio. Ma c’è anche un dato pratico. La scomparsa degli Istituti d’arte, ad esempio, ha eliminato la formazione di figure dotate di abilità e competenze pronte per il mercato del lavoro nel settore dell’artigianato artistico, e di cui le aziende territoriali già avvertono la mancanza». Spesso in questi frangenti si cita la Francia, dove Sarkozy nel 2008 ha introdotto l’insegnamento dell’arte fin dalle elementari. Dimenticando però che prima era praticamente assente. «Attualmente, secondo dati dell’agenzia europea Eurydice, in termini di ore l’Italia è al livello francese – sostiene Galletti – in coda all’Europa. In Finlandia, dove il patrimonio è soprattutto naturale, l’educazione all’arte è presente in tutti gli indirizzi come obbligatoria e incrementabile. Anche Germania e Spagna sono più competitive rispetto all’Italia». Il problema dell’insegnamento della storia dell’arte però può essere letto nel quadro più ampio del 'declino' delle materie umanistiche. La logica della riforma, secondo Baldriga «era quella di un efficientismo poco attento allo spessore. Si usava molto il termine 'razionalizzare'. In parte era un’esigenza concreta, dall’altra l’elemento risparmio è stato considerevole. Rispondeva al consolidamento dell’istruzione tecnica a scapito delle materie umanistiche. Ma rispetto a questo c’è stata una riflessione. Si è aperto il dibattito sulla qualità e l’importanza degli studi umanistici per temi come democrazia e sviluppo sostenibile. È una discussione internazionale che comincia a fare breccia anche in Italia». La diatriba 'pratica contro teoria' potrebbe aver quindi toccato la Storia dell’arte. A torto: «La scuola – spiega Baldriga, che è anche dirigente scolastico del Liceo classico Virgilio a Roma – deve essere più pratica senza rinunciare ai contenuti. Certamente era molto teorica l’idea della storia del-l’arte del liceo gentiliano, in cui la storia dell’arte era componente ancillare della formazione della classe dirigente. Ma è un’idea antiquata. La storia dell’arte attuale si presta bene alla didattica per competenze, tipica della moderna pedagogia, a partire ad esempio dall’insegnamento in lingua straniera. È anche una materia ideale per l’alternanza scuola-lavoro: tirocini presso musei, biblioteche, archivi, siti archeologici incontrano l’entusiasmo degli studenti».