Lo scrittore libanese Amin Maalouf - La Nave di Teseo
Anticipiamo una sintesi dell'intervento che questa sera lo scrittore libanese terrà a Bassano del Grappa per il festival La Milanesiana.
Il tema di quest’anno della Milanesiana, “Il Progresso”, mi sembra particolarmente appropriato per gli strani tempi che stiamo vivendo. Non si tratta, naturalmente, di chiedersi se il progresso è buono o cattivo, ma di riflettere su come le nostre società dovrebbero affrontare le conseguenze morali, intellettuali, economiche e politiche del progresso.
Per quanto riguarda la nozione in sé, è ampia, complessa e talvolta fuorviante. Ci sono, infatti, aree in cui l’idea di progresso non ha molto senso. È il caso, in particolare, dell’arte, della letteratura e, più in generale, di tutto ciò che riguarda l’estetica. Possiamo dire che la letteratura sia progredita dopo il Don Chisciotte, dopo la Divina Commedia o dopo l’Iliade? Che la scultura sia progredita nei venticinque secoli che ci separano dall’uomo che ha scolpito il Discobolo? Che la pittura sia progredita tra il secolo di Michelangelo e il nostro? In tutti questi campi, possiamo fare altro, senza dubbio anche altri capolavori, ma non possiamo fare meglio. Basta guardare le pitture preistoriche sulle pareti delle grotte per vedere che lo spirito umano era già, fin dall’inizio, al culmine della sua arte.
Poi c’è un’area enorme dove il progresso è evidente, tangibile, onnipresente, ma dove è superfluo discuterne. Sto ovviamente pensando a scienza e tecnologia. Il progresso è così rapido che ci dà l’impressione che il passato fosse quasi immobile. A volte sorridiamo quando, leggendo, scopriamo che, anche ai tempi dell’antica Roma, alcune persone avevano già l’impressione che il mondo stesse cambiando troppo in fretta. Ma sorridiamo meno al pensiero che i nostri discendenti, che vivranno nel ventiduesimo o ventitreesimo secolo, avranno l’impressione che nel 2021 il mondo si muoveva molto lentamente.
Il ritmo del progresso è vertiginoso solo per coloro che lo vivono. Chi lo guarda dall’alto, con occhi da storico, sa che accelererà ancora di più. Quando alcuni dei miei amici sono tentati di credere di aver già visto tutto, consiglio loro semplicemente di leggere qualche articolo su questa tecnica inaudita che porta il nome un po’ barbaro di CRISPRCas9, tecnica che è valsa ai suoi due inventori il premio Nobel 2020 per la chimica, e che rende possibile intervenire sul nostro DNA mentre siamo ancora vivi, cosa che solo dieci anni fa sembrava pura finzione.
La verità è che non abbiamo ancora visto nulla di ciò che la scienza può scoprire, delle metamorfosi che può produrre nella nostra condizione umana, in meglio o in peggio. Questo progresso, il progresso scientifico e tecnico, nessuno potrà fermarlo. Nemmeno le grandi potenze o le multinazionali. Tutto ciò che può essere inventato sarà alla fine inventato e poi testato su di noi. E, naturalmente, niente sarà mai “disinventato”. Inutile maledire le innovazioni, bandirle o rifiutarle; una tale battaglia sarebbe persa in anticipo. Lottare contro i mulini a vento del cambiamento può sembrare eroico, nel senso donchisciottesco della parola, ma alla fine è patetico. L’unico atteggiamento veramente audace consiste nel comprendere a fondo le trasformazioni che il progresso ci porta, per volgerle a nostro vantaggio.
Finora, ammettiamolo, non siamo stati capaci di gestire correttamente le conseguenze del progresso scientifico e tecnico. Mentre questo continua ad accelerare, la nostra mentalità fa fatica a tenere il passo. Se dovessimo nominare il principale problema del nostro tempo, per risolvere il quale ognuno di noi dovrebbe mobilitare le proprie energie, la propria intelligenza, le proprie abilità e la propria inventiva, sarebbe proprio questo.
Come possiamo garantire che la nostra evoluzione morale stia al passo con il nostro progresso materiale? E come evitare che il progresso, reale e promettente in un settore, si traduce in un regresso in un altro campo? Un esempio, tra i tanti: si ritiene che nelle nostre città, nei nostri paesi e sulle nostre strade ci sia circa un miliardo di telecamere di sorveglianza. Stanno migliorando sempre di più, tecnicamente, e sono sempre più numerose; prima della fine di questo decennio, nel mondo ci saranno più telecamere di sorveglianza che abitanti. È una buona cosa? Quello che perdiamo in termini di libertà, dignità e privacy è compensato in termini di sicurezza e tranquillità? La domanda vale la pena di essere posta.
Su un altro piano, più generale, non c’è dubbio che l’accelerazione delle comunicazioni, abolendo le distanze tra gli esseri umani, riunendoli tutti, per così dire, nella stessa piazza, abbia esacerbato le tensioni. Sia gli individui che i gruppi temono di essere schiacciati, invasi, umiliati o addirittura annientati, e reagiscono enfatizzando, spesso in modo aggressivo, la propria identità. Lo vediamo in ciascuna delle nostre società, e anche a livello di intero pianeta. Saremo in grado di gestire questa vicinanza e il fermento che l’accompagna? Riusciremo a vivere insieme, integrando le nostre innumerevoli particolarità in modo armonioso? È un compito difficile, che richiede saggezza, lucidità e perseveranza. Ma abbiamo l’obbligo di farlo nostro, se speriamo ancora di preservare i nostri valori, le nostre istituzioni e il nostro stile di vita.
(traduzione di Anna Maria Lorusso)