Un famoso ritratto dell'amico Giuliano Grittini
«Tutti sanno che la Merini spegneva le sigarette sul pavimento di casa e le lasciava lì, appositamente bruciate a metà. Quando volevamo fumare, camminavamo per le stanze alla ricerca di una cicca da riaccendere, entusiasti come due adolescenti, non ci interessava il pacchetto intero... Nessuno però sa perché lo faceva: negli anni del manicomio, quando non aveva una lira, nei giorni di libera uscita andava alle fermate dei tram per trovare le cicche gettate dai passeggeri, era il suo elogio alla povertà. Continuò in casa sua, le bastava chinarsi al pavimento e con quel gesto lei trovava la libertà. Quanti non capivano e pretendevano di igienizzarle la casa!».
Alda Merini, questa sconosciuta. Perché a dispetto della crescita esponenziale di estimatori, e di una fama che ne fa la poetessa più amata del ’900, solo pochi iniziati conoscono cosa si cela dietro ogni suo gesto. Chi parla, in un bar sui Navigli milanesi, è l’attore-regista-poeta cileno Manuel Serantes Cristal, dagli anni ’80 fino alla fine testimone di ogni giorno della sua vita, «ho visto con i miei occhi nascere uno a uno i suoi libri, ho visto transitare alla sua corte persone e personaggi» (l’ironia nella voce distingue i secondi dai primi), «ho conosciuto i suoi cinque veri amici e gli altri inutili cortigiani. E oggi che a nove anni dalla sua morte si è spento il rumore attorno a lei, non mi sottraggo più all’impegno di farla vivere attraverso il mio racconto-spettacolo».
Tra umorismo e passione
È così che nasce "Confesso che ha vissuto", monologo di Serantes Cristal, che questa sera lo porta in scena in prima assoluta al Piccolo Teatro Studio di via Rivoli 6 a Milano (ingresso gratuito, prenotazioni www.piccoloteatro.org/it/merini), non a caso di Venerdì Santo: «Tutte le feste per lei erano periodi difficili, ma viveva soprattutto la passione di Gesù verso il Golgota, dell’Uomo che trascina la croce mentre la folla lo insulta al suo passaggio. Il grande spettacolo del dolore del mondo. Nella morte di Cristo vedeva la croce di ogni uomo oggi tradito, abbandonato, deriso e quindi anche la sua. Questa sera il mio spettacolo inizia con la Pasqua, ma in futuro ogni replica si adatterà di volta in volta al luogo e al pubblico che avrò davanti: la grandezza della Merini pretende questo, dopo di che tu attore, servo di scena, devi essere capace di farlo». Non c’è un copione scritto, infatti, ma un succinto canovaccio su cui Serantes Cristal improvvisa affidandosi alla cifra meriniana per eccellenza, «l’umorismo», mentre Arnoldo Mosca Mondadori a sua volta improvvisa melodie al pianoforte.
L'amico Arnoldo, un pianoforte, il mistero
Esattamente come avveniva nella casa sui Navigli, in Ripa di Porta Ticinese numero 47 secondo piano, quando l’amico Arnoldo suonava il piano e la voce roca della Merini creava i versi. «Così nacque Corpo d’amore. Un incontro con Gesù – ricorda Mosca Mondadori, ideatore della "Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti", che produce lo spettacolo –. Io accendevo il registratore, mi mettevo al piano e il libro cresceva. Se non che un giorno, avendo dimenticato il registratore a casa, cercai di fermarla ma fu impossibile: lei pronunciò dieci minuti di poesia sublime, non le interessava niente trattenerla e nemmeno che fosse pubblicata... chissà dov’è andata quella poesia e come Dio l’ha usata, ma sicuramente in modi misteriosi ha alimentato l’universo».
«Mi piantò all'altare il giorno delle nozze»
La vera sfida non è raccontare Alda Merini, insomma, ma riportarla sul palco in carne ed ossa, farla agire di battuta in battuta esattamente come farebbe lei. Che rideva fino alle lacrime, con le persone che ne erano degne, e agli amici riservava il suo lato più libero e irriverente. «Doveva essere la mia testimone di nozze», continua Manuel Serantes Cristal, «ma mi ha piantato lì, non è venuta». Di questo e d’altro parlerà il monologo, e delle tante provocazioni con cui la poetessa declinava lucidamente la sua stessa follia: «Entravo, mi chiedeva di guardare "quell’uomo sull’armadio", io alzavo gli occhi e lo guardavo davvero, la mia lealtà era totale – spiega l’attore –. Non era uno scherzo, era una cosa molto seria, la sua era immaginazione attiva: ciò che tu hai vissuto è certamente meno vero di ciò che il poeta racconta di te. Lui scrive la verità ed essa è tale anche quando non avviene. Capire la Merini è capire questo».
Via dalla pazza folla
Nato in Cile, dove i suoi genitori erano sbarcati bambini nel 1938 sulla nave “Winnipeg” carica di tremila rifugiati politici dalla guerra civile spagnola, messi tutti in salvo da Pablo Neruda (ancora la poesia nella sua vita), Manuel Serantes Cristal è poi a sua volta fuggito dal Cile di Pinochet nel 1975. «C’è un binomio di esilio e poesia nel mio destino – cantilena con l’accento sudamericano mai perduto –. Venuto al mondo grazie a Neruda, sono cresciuto sentendo recitare Federico Garcìa Lorca, grande martire della guerra civile spagnola. Quando sono scappato io dal Cile, ero già preparato, sapevo cosa vuol dire esilio, i miei nonni erano morti desiderando per quarant’anni volver, tornare». L’approdo a Milano fu una sorpresa anche per lui: «Come ogni giovane rivoluzionario aspiravo a trovare una rivoluzione per cui poter morire, ma in quegli anni erano state bandite tutte, non c’erano più, c’era il dramma di dover vivere in eterno, spariti gli ideali». Gli venne in soccorso un cameriere dei Navigli, un miscredente per cui la pazza della porta accanto era appunto una pazza che scrive poesie, «e poiché difendere un poeta è sempre una grande causa, ho voluto conoscerla. Fummo subito complici perché entrambi lontani dal mundanàl roido», il rumore mondano.
«Ero il suo avvocato del diavolo»
Non si lasciarono più, di giorno o di notte quando Merini chiamava Manuel accorreva (“È la dimostrazione che, in fondo, la persona è anche carità”, scrisse di lui la Merini in Dés Cartes) e si abbandonava all’imprevisto dei suoi umori, dei suoi discorsi solo apparentemente disordinati, nei quali però tutte le cose alla fine tornavano, trovando il nesso che le rendeva armoniche. «Con Alda Merini si va ovunque, si vola e si precipita, si dice ciò che passa per la mente, si incontra Dio e il diavolo». Uno spettacolo che voglia rendere tutto questo non può essere tradizionale, deve per forza improvvisare al momento secondo l’urgenza che arriva, ora drammatico ora assurdo, ora comico ora tragico, come faceva lei, che mai si è presentata a una serata sapendo già di cosa avrebbe parlato. «Io farò questo, voglio che le cose avvengano lì. Il che non significa non essere preparato, ma esserlo molto di più».
In trent’anni di simbiosi (sempre dandosi del lei) lo aveva eletto suo “avvocato del diavolo”, l’interlocutore da porre sotto interrogatorio e da cui pretendere risposte scavalcando la ragione, «non le interessava una posizione intellettuale, che prevede sempre un pre-giudizio già elaborato e quindi è sterile, sapeva bene che la grande fonte del sapere sono gli interrogativi, le risposte non date». Profondamente umana, attingeva alla fragilità dell’uomo, creatura che non vola e non ha difese, «figlio che ha una data di scadenza e non sa qual è». Ma anche profondamente cristiana, credeva di una fede lucida e certa, che le ha permesso un’uscita di scena dal mondo intima e teatrale insieme.
E ora le repliche in tutta Italia
Colpito dal silenzio in cui Serantes Cristal alla morte della Merini si è ritirato, quattro mesi fa Arnoldo Mosca Mondadori gli ha chiesto di raccontare la vera Merini, «l’istante di umorismo in cui trasformava il dramma in commedia: chi la rappresenta cupa non ha capito niente». La prova generale al teatro della Casa dello Spirito e delle Arti per un pubblico eterogeneo di senzatetto e alta borghesia milanese ha dimostrato che le emozioni passavano, «si rideva e si piangeva». Stasera al Piccolo la prima per il pubblico cittadino e poi il desiderio è che «lo spettacolo vada in giro per i grandi e piccoli teatri di tutta Italia, anche in scuole e parrocchie» (per contatti casaspiritoarti@gmail.com).
Sarà contenta la Merini del suo spettacolo? – chiediamo congedandoci dall’autore attore – ma lui alza le spalle e provoca, con fare meriniano: «Io la metto sul palco. Se poi stasera dal soffitto mi cade addosso qualcosa non denunciate i pompieri, sarà stata la sciura. La sciura Merini».