Un’immagine del Beato Carlo Acutis (1991-2006) mentre faceva trekking sul monte Subasio, ad Assisi
«Non io, ma Dio», è uno dei tanti messaggi lanciati da Carlo Acutis nel suo brevissimo passaggio terreno. Il ragazzo proclamato Beato, il 10 ottobre 2020, oggi sarebbe un giovane uomo di trent’anni. Forse avrebbe continuato a suonare il sassofono e a giocare a calcio con gli amici milanesi. Magari sarebbe andato allo stadio («dove non andava mai, ma solo perché nessuno lo portava», dice mamma Antonia Salzano) a seguire la sua squadra del cuore, il Milan, a San Siro solo per accompagnare quei ragazzi disabili o bullizzati che consolava con lo spirito del volontariato migliore. Le sue passioni le avrebbe continuamente aggiornate, come quei siti dedicati ai miracoli eucaristici e alla gioia della fede che sono diventati, per fortuna in questo caso, «virali», in tutto il mondo.
Carlo amava la rete delle porte di un campo di calcio quanto quella dei portali di Internet, perché da «influencer di Dio», come lo definisce mamma Antonia, amava ripetere: «La Rete non è solo un mezzo di evasione, ma uno spazio di dialogo, di conoscenza, di condivisione, di rispetto reciproco, da usare con responsabilità, senza diventarne schiavo e rifiutando il bullismo digitale». Parole queste di Carlo che sono scolpite nella mente del presidente della Lega Pro Francesco Ghirelli, il quale lo scorso febbraio ha scritto una lettera accorata all’arcivescovo di Assisi Domenico Sorrentino, per lanciare la proposta: «Carlo Acutis patrono della Lega Pro». Ghirelli da rappresentante di quella che considera la «la Lega dei pullmini », che trasportano ogni giorno i 13mila calciatori dei settori giovanili dei 60 club della Serie C (di cui 10 hanno squadre che partecipano ai campionati DCPS, tornei rivolto agli atleti con deficit cognitivo- relazionali) ha individuato nel Beato Carlo Acutis «una fonte di luce per i ragazzi e le ragazze che hanno bisogno che qualcuno tenda loro una mano, oggi e non domani – ha scritto il presidente della Lega di Serie C all’arcivescovo Sorrentino – . Internet e palla, argonauta e sportivo, sono i segni dei giovani di oggi, sono tutto un insieme e il Beato Carlo può stare interamente con questo variegato mondo che aspira al futuro».
E il futuro rimbalza come un pallone sull’erba dello stadio degli Ulivi di Assisi. La città di san Francesco che il Beato Acutis amava e dove aveva espresso il desiderio di venire sepolto dopo essere salito al Cielo, il 12 ottobre del 2006: morto, a 15 anni, all’ospedale San Gerardo di Monza, per una leucemia fulminante. Un’esistenza vissuta in piena Grazia di Dio, quanto preco- ce: è durata appena 5.640 giorni. Ora le sue spoglie riposano nella chiesa di Santa Maria Maggiore, Santuario della Spogliazione di Assisi. Mamma Antonia, via skype, ha partecipato al convegno promosso dalla Lega Pro su Carlo Acutis, a cui ieri ha fatto seguito la partita allo stadio degli Ulivi tra la Rappresentativa Under 17 di Serie C ed i pari età dell’A.S. Gubbio Calcio 1910. Al termine della gara, i ragazzi si sono recati al Santuario della Spogliazione, guidati dal Rettore del Santuario Padre Carlos Ferreira che ha detto loro: «Fatevi amico Carlo!».
Un messaggio che ha colpito i giovani calciatori che poi alla Basilica di Santa Maria degli Angeli hanno partecipato alla Santa Messa per le società dilettantistiche umbre. Tutto all’insegna del Beato Acutis, già patrono in pectore di Internet e ora anche del “calcio dei campanili”. «Il fatto che la proposta parta dalla Serie C e da un campionato prevalentemente disputato da giovani, di talenti che un domani potranno diventare dei campioni, non può che riempirmi d’orgoglio – dice Antonia Salzano – . Se un giovane calciatore scopre la fede attraverso Carlo, beh questo è un piccolo miracolo. Lo sport fa miracoli, ma solo se nello sport entra la luce di Cristo e se il talento è accompagnato dall’umiltà. Carlo, con umiltà aveva messo da parte se stesso, si era riempito di Cristo e questo gli aveva permesso di aiutare gli altri: i clochard, le persone bisognose. Tutti quelli che incontrava e che gli chiedevano aiuto, lui gli tendeva la mano. Ora lo farà anche con i giovani calciatori».
Come San Paolo, anche Carlo Acutis è stato un “atleta di Dio”, sempre in soccorso del prossimo, ma senza mai trascurare lo sport e l’attività fisica. «Carlo concepiva lo sport, tutto, come svago e un motivo di coesione sociale. Per questo si era cimentato nel basket, in cui faceva valere i suoi 182 centimetri di altezza, poi con il tennis e il trekking in montagna, specie qui ad Assisi, sul monte caro a san Francesco, il Subasio. Amava anche il calcio, certo, perché gli dava la possibilità di confrontarsi e di unirsi agli altri suoi coetanei. All’uscita di scuola, alla Leone XIII, spesso si fermava di fronte al Tommaseo, vicino alla chiesa di Santa Maria delle Grazie c’è un piazzale enorme con dei giardinetti dove una volta spiccava un magnifico cedro del Libano che ora non c’è più. Lì si ritrovava con i ragazzi del quartiere a dare due calci a un pallone. Ogni tanto non disdegnava il calcetto, ma non lo praticava con spirito agonistico. Carlo non era capace, ma in compenso sapeva ridere di se stesso e del fatto che come calciatore, mi diceva divertito, “sai mamma, a pallone sono una schiappa”. E io ridevo con lui, mi divertiva sempre. Come mi divertì saperlo sciatore improvvisato. Su invito dei nonni andò in Svizzera e in quindici giorni, seguendo gli insegnamenti di una maestra, imparò a sciare e vinse il secondo premio in una gara di slalom. Ma poi venne da me e suo padre e disse convinto: “Basta, ora non scio più”».
Gli Acutis sono una famiglia di sportivi. I gemelli, Francesca e Michele, nati dopo la morte di Carlo, quando Antonia aveva già 43 anni – «e Carlo me lo aveva predetto che sarei diventata nuovamente mamma» – da otto anni praticano il kung fu e seguono il calcio: «Michele tifa Milan, Francesca il Napoli, mio marito la Juventus e io l’Inter, perché Angelo Moratti era un vecchio amico di mio padre. Personalmente però non amo una aspetto del calcio: il fatto che non sempre vince il migliore, e allora preferisco la dimensione amatoriale ». Gli amateur tanto cari a papa Francesco, calciofilo, ex cestista e grande appassionato di tutte le discipline olimpiche. Nella Christus vivit papa Bergoglio cita Carlo Acutis come modello da seguire dai giovani per quella capacità di comunicare che andava oltre Internet. Con la sua mostra “Segni”, sui miracoli eucaristici, Carlo ha girato il mondo e solo negli Stati Uniti è stata ospitata da 10mila parrocchie. «Carlo ripeteva: “l’Eucaristia è la mia autostrada verso il cielo”. Perciò credo che con questa nuova “catechesi del calcio” possa indicare ai giovani la via della volontà, unico rimedio contro l’accidia che dilaga tra i millennials. Carlo sapeva che le virtù vanno coltivate e migliorate, e lo sport è un bel modo per mettere alla prova la propria forza di volontà. Il suo motto era il “Cic”: concentrazione, impegno e costanza. Il “Cic”, unito alla pratica sportiva, rafforza il fisico e lo spirito e tiene lontana “mammona” che prova sempre a fare lo sgambetto e si presenta in tutte le varie forme, compresa la violenza, come quella che si vede negli stadi».
Andare oltre il tifo, essere sportivi. «Carlo per fare contenti i cugini romani giocava a indossare il cappellino giallorosso della Roma di Francesco Totti, uno che gli piaceva, perché Totti è un uomo buono che si spende molto per gli altri, specie per i bambini in difficoltà». Uno dei tanti campioni da emulare Totti, ma senza creare falsi idoli e senza dimenticare l’altro motto che Carlo Acutis ha lanciato a tutti: «Sei nato originale, non vivere da fotocopia».