Per la Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell'uomo il diritto alla vita dei pazienti gravemente disabili deve essere bilanciato con il loro diritto al rispetto della vita privata e dell'autonomia. Unendo ciò al fatto che l'idratazione e la nutrizione enterale non avrebbero altro effetto se non il prolungamento artificiale della vita, ecco scritta la "sentenza di morte" per Vincent Lambert (5 giugno 2015). Ma Giovanna Razzano, ricercatrice di Diritto pubblico all'Università La Sapienza di Roma, dimostra tutta l'antigiuridicità insista in tali affermazioni.Prima di tutto, argomenta, «tale impostazione non sembra coerente con il dato positivo rappresentato dalla Convenzione» (quella dei diritti dell'uomo, di cui la Corte dovrebbe essere garante). Convenzione che all'articolo 2 non solo sancisce l'indisponibilità della vita, ma che al suo articolo 15 precisa come tale disposizione (e poche altre) siano assolutamente inderogabili. Da qui, Razzano tira le conseguenze: nel caso in esame la Corte opera una «valutazione sfavorevole» al «sostentamento di una vita» qualora essa «sia artificiale». Ma «un tale giudizio – avverte – per quanto reso da medici (quelli interessati dal collegio giudicante, ndr), non è di carattere medico scientifico». La docente evidenzia infatti che si tratta di una diagnosi né «di morte cerebrale» né «di stato vegetativo». Semplicemente, il via libera all'interruzione dell'alimentazione si fonda su «una valutazione» della «qualità della vita di chi è in stato vegetativo». E tale conclusione, argomenta, è «in aperto contrasto con i documenti parlamentari dello stesso Consiglio d'Europa, su cui non a caso i giudici, prolissi su altri dati, sorvolano rapidamente». Nella raccomandazione 1.418 del 1999 si pongono tre punti fermi, e la giurista così li riassume. Primo: «Il trattamento del sostegno vitale non deve essere eliminato per motivi economici». Secondo: «Occorre stabilire un catalogo di trattamenti che non possono essere sottratti» e, soprattutto, «laddove mancano direttive anticipate, il diritto alla vita del paziente non deve essere violato». Terzo: «In caso di dubbio la decisione deve sempre essere per la vita». Niente di nuovo. Ma nella stessa direzione va anche l'attività più recente. La ricercatrice ricorda infatti che, nella risoluzione 1.859 del 2012, si legge che «l'eutanasia, intesa nel senso dell'uccisione intenzionale, per azione o omissione, di un essere umano dipendente per un suo presunto beneficio, deve sempre essere proibita». Dirimente, se mai ci fosse bisogno di altro, è poi la «Guida sul fine vita» approvata dal Consiglio d'Europa: «La nutrizione e l'idratazione costituiscono apporti esteriori rispondenti ai bisogni fisiologici, che conviene soddisfare, perché il cibo e l'acqua sono elementi essenziali della cura del paziente che dovrebbero sempre essere assicurati, a meno che il paziente non li rifiuti». Sono molti i cultori del diritto che ritengono questa "sentenza di morte" assolutamente antigiuridica. A partire dai 5 giudici dissenzienti (12 quelli a favore). Che, all'indomani del verdetto, prima si son chiesti se «la Corte di Strasburgo meriti ancora il titolo "Coscienza d'Europa"» e che così si son dati risposta: «Noi temiamo che la Corte, con questa sentenza, abbia perso il summenzionato titolo».
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