UNO «STRUMENTO» PER L'INTELLIGENCEGli incursori italiani lavoreranno fianco a fianco con gli 007 dell’Aise e dei colleghi stranieri. Faranno intelligence e potrebbero intervenire con «colpi mirati», se necessario. Con un obiettivo primario: ostacolare l’avanzata del Daesh in Libia. Sono addestrati soprattutto a tessere una fitta trama di contatti in territorio straniero. Poi sanno anche formare gruppi di combattenti. Potranno consigliarli e inquadrarli, per poi cooptarli sul terreno nella lotta al jihad. Ecco perché sono uno strumento a disposizione delle strutture d’intelligence. Presto o tardi, li potremmo vedere impegnati in “prima linea”? «Non è da escludere», segnala un ufficiale del Comfose. Azioni dirette e ricognizioni sono fra le opzioni possibili. In effetti avviene così da un quindicennio a questa parte, per tutte le forze speciali dissimulate dietro le linee nemiche. La Libia non è un unicum, anzi conferma la regola degli scenari di guerra irregolare: un teatro privo di un fonte ben definito. Gli italiani stanno allungando il passo in Libia. Ma sono tutt’altro che isolati. Il nostro comando per le forze speciali tiene contatti strettissimi con gli alleati di sempre. In Libia dovrà coordinarsi con le forze speciali francesi, americane e britanniche, già sul terreno. Ma c’è dell’altro, molto verosimile. La nostra fonte preconizza che Roma potrebbe impiegare gli incursori anche nel ruolo di “Joint Terminal Attack Controller”, per designare gli obiettivi al suolo, illuminarli con marcatori laser e segnalarli direttamente ai piloti dei cacciabombardieri. Ovviamente quando scatterà la missione di supporto internazionale al governo di unità nazionale. La lotta al Daesh in Libia sta già cominciando.
GLI OBIETTIVI: GIA' INDIVIDUATI OLTRE CENTOMilitarmente e tatticamente, l’operazione in Libia sembra «fattibile». Oggi il Daesh occupa territori ben delimitati. Il baricentro è a Sirte, con appendici costiere a Derna, e nelle regioni di Tripoli e Bengasi. Ha il controllo diretto di 200 chilometri di costa. Ma sta penetrando anche a sud. Nell’area di Hun, lontanissima da Sirte, controlla diversi campi di addestramento per i jihadisti. I servizi di intelligence occidentali hanno registrato la presenza di guerriglieri e foreign fighter di ritorno dalla Siria, uomini di Boko Haram e qaedisti di Ansar. L’intelligence alleata avrebbe individuato 100-110 obiettivi primari da colpire: i poligoni sono nel mirino, insieme ai centri di comando, ai capi di alto valore, alle linee di rifornimento e alle strutture petrolifere. L’operazione militare a guida italiana punterebbe a scardinare prima Sirte, perché sul resto potrebbero aver gioco facile le milizie locali. Il terreno non favorisce la guerriglia tradizionjale, a patto che gli effettivi del Califfato che ha giurato fedeltà ad Abu Bakr al-Baghdadi rimangano ancora contenuti (6-8mila uomini in tutto). L’arsenale di cui dispongono è modesto, inferiore a quello di altre milizie libiche. Hanno solo mazzi 4x4 armati di mitragliatrici, razzi anticarro portatili e pochissime armi pesanti. Ma possono contare su una fitta trama di supporti, da Ansar al-Sharia ai salafiti tripolitani. Molte le incognite sul terreno. Politicamente e strategicamente si rischia grosso.LE TRUPPE SOLTANTO DOPO LA RICHIESTASe partisse la seconda fase dell’operazione in Libia, dopo la richiesta del nuovo governo libico, Roma potrebbe contribuirvi con circa 3mila uomini. I paracadutisti della Folgore sono allertati da tempo. Non andranno Iraq, a proteggere la diga di Mosul, per essere pronti all’impiego libico. Nella task force nazionale avrebbero un ruolo anche i marò della brigata San Marco, protetti da una dozzina di cacciabombardieri, droni, cargo da trasporto ed elicotteri. La Marina è già all’opera. Schiera da tempo 6-7 navi nell’operazione Mare Sicuro. Sorveglia le piattaforme offshore dell’Eni. Perché ci sono in gioco interessi economici vitali. Dalla costa ovest di Tripoli, parte il terminal di Mellitah. E il metanodotto sottomarino Greenstream è un’arteria irrinunciabile. L’Italia sarà in prima linea e deterrà il comando dell’operazione multinazionale anti-Daesh. Almeno sulla carta. I piani sono articolati. E i mezzi disponibili pochi. Si colpirebbe inizialmente il nord libico, con raid preventivi per bloccare le avanguardie jihadiste dirette verso sud. Qualcosa di simile è avvenuto già nel 2013, nel Mali settentrionale. L’avanzata sarebbe su due fronti, perché dalla Sirte in mano a Daesh parte una direttrice verso la regione ciadiana, dove i tagliagole hanno stretto contatti con Boko Haram e le reti filo-terroriste degli Awlad Syleyman. I francesi potrebbero dare una mano, perché con l’operazione Barkhane sono a un tiro di schioppo dal Fezzan. A nord, le cose sarebbero più agevoli (nei piani): sarebbe della partita una forza anfibia anglo-franco-italiana.