Quello di Giorgio Napolitano a fine anno è stato una sorta di "testamento istituzionale", con l’identikit dell’erede del Quirinale. Debora Serracchiani, vicesegretaria del Pd, legge attraverso le parole del presidente della Repubblica le qualità richieste per il successore, e conferma la necessità di «una più larga condivisione» per l’elezione, «a partire da Berlusconi, ma – al di là di quelli che si tirano fuori a prescindere –, penso che ci siano tutte le condizioni per allargare il più possibile questa condivisione».
Se Fi la date per acquisita, a chi si riferisce? Lega e M5S non ci stanno.Ho l’impressione che anche da parte del M5S ci sia la voglia di partecipare. Penso che ci sia una sensibilità diversa da Grillo, anche da parte dei suoi elettori. Ho trovato invece quello di Salvini un commento di una forza politica che non può candidarsi a governare.
Dipenderà pure dal nome: serve una figura politica?Non sono tra chi punta sull’età, sul sesso o sul tecnico o politico... Dopo le parole di Napolitano, penso che servano due requisiti: la capacità di rappresentare gli italiani e la credibilità oltre i confini. Prima ancora Napolitano ha chiesto alla politica di recuperare i valori morali. Le persone citate nel suo discorso delineano l’esigenza di segnare il passo di un Paese fatto di tanta gente che riesce a rappresentarci al meglio. Ecco, penso ci si muoverà in questo ambito.
Le condizioni sono cambiate rispetto a due anni fa?Nel richiamo del presidente alla necessità di completare le riforme si riconosce che è stato avviato il processo: sembra convinto che qualcosa è cambiato. Dal 2013 un processo di maturazione c’è stato.
Quindi niente paura dei 101 franchi tiratori?Pur con qualche distinguo, nel Pd molto è stato fatto e le riforme sono state portate a casa. Credo ci siano condizioni diverse rispetto al 2013, anche se non sottovaluto la complessità del voto per il presidente della Repubblica.
Servono tanti voti...Certo, io penso anche al rafforzamento del Pd con i nuovi ingressi, allo sfaldamento dei Cinquestelle, alla discussione aperta in Fi.
Per coronare il processo di pacificazione, un presidente che possa pensare a dare la grazia a Berlusconi potrebbe blindare un accordo?Non è un discorso che si può fare: una cosa è l’elezione della più alta carica istituzionale, l’altra è un fatto privato. Sono due questioni assolutamente separate.
Il richiamo contro la corruzione interpreta una sfiducia nella politica.Credo che negli anni abbiamo avuto presidenti che hanno riconciliato il Paese con simboli fondamentali. Se penso a Ciampi penso alla bandiera, all’inno, al recupero di alcune festività nazionali. Napolitano ha fatto un passo in più: ha tenuto insieme gli italiani. La politica aveva fallito, c’è stato anche un governo tecnico. Il Quirinale è stato l’unico centro della politica con la P maiuscola. Ma l’intesa che si potrà raggiungere sulle riforme e sulla scelta del capo dello Stato dimostrerà che qualcosa è cambiato.
Renzi voleva lasciare un’impronta anche sulla politica europea. Ci è riuscito?Sì. Se l’Europa è tornata a parlare di crescita, se la Germania ha dovuto confrontarsi con le altre nazioni europee nella ricerca di risposte diverse dalla sola austerità, se Junker per essere eletto ha dovuto puntare su un piano di sviluppo da 300 miliardi di euro, lo dobbiamo all’insistenza con cui l’Italia dall’alto della presidenza del semestre europeo ha insistito su risposte diverse.
Ma la ripresa è lontana. I timori del sindacato non sono così isolati...Non siamo usciti dalla crisi. Abbiamo dati economici che non ci soddisfano, ma abbiamo un costo del lavoro che si riduce, un taglio delle tasse, la bolletta energetica che cala... La politica ha capito che doveva cambiare profondamente. Lo devono capire anche i sindacati. Un sindacato che partecipa alle scelte di politica aziendale e alla costruzione di politiche attive per il Paese è necessario.