La determinazione e la responsabilità si leggono nei volti tesi di un Pd che arriva all’appuntamento del delicatissimo voto di fiducia al governo politico di larghe intese in condizioni ben diverse da come lo aveva immaginato. Vincitore della poltrona di Palazzo Chigi eppure sconfitto. Ma deciso a restare unito per tracciare la rotta dell’esecutivo insieme con il suo vicesegretario premier Enrico Letta, che ottiene 453 voti a favore (153 contrari e 17 astenuti). Di fronte, la soddisfazione sui volti del Pdl è nei sorrisi e nelle pacche sulle spalle. Ed è soprattutto sul volto di un Silvio Berlusconi che entra in scena pronto a raccogliere il frutto della sua trattativa: l’abolizione dell’Imu. Ma è il momento della «pacificazione» per l’Italia «che soffre», dicono in tono grave in casa pd. E allora, la sintesi per un partito bastonato e malconcio la fa il capogruppo dei democratici Roberto Speranza, prendendo a prestito le parole di don Milani: «A che serve avere le mani pulite se le teniamo in tasca?».Pier Luigi Bersani concorda. Resta al centro della scena e accoglie volentieri l’apprezzamento di Letta. «Ora poche chiacchiere, bisogna dare una mano tutti...», taglia corto. «Nessun rimpianto», dice. «Nelle parole di Enrico ho ritrovato parecchio del nostro», assicura l’ex segretario democratico. Di là, nella stessa maggioranza, c’è Angelino Alfano a dare voce alla soddisfazione: «Nel discorso di Letta abbiamo sentito musica per le nostre orecchie e la grande notizia è che non si paga la rata di giugno dell’Imu». Un po’ tutte «le idee per cui ci siamo battuti e che Silvio Berlusconi ha posto alla base del nostro programma, hanno trovato piena cittadinanza in questo governo», dice il vicepremier. Le perplessità però sono tante. Anche nel Pdl, dove il presidente dei deputati Renato Brunetta mette le sue condizioni alla vita dell’esecutivo. «Valuteremo minuto per minuto l’operato del suo governo», dice rivolto a Letta.
Speranza, invece, va più a fondo. «Ci sono passaggi – dice – in cui bisogna avere la forza di mettere l’interesse nazionale. Questo è un passaggio caratterizzato da una crisi economica senza precedenti, a cui si aggiunge una crisi di rappresentanza democratica, anche per una legge elettorale ingiusta». E dunque «il Pd farà la sua parte con coerenza e, come sempre, agirà nell’interesse del Paese». Non per questo i democratici devono pensare di aver rinnegato i principi guida: «Noi – sottolinea – non cambiamo la nostra identità, restiamo alternativi al centrodestra ma pensiamo che in questo passaggio ci sia un forte bisogno di mettere davanti l’interesse per l’Italia».Un ragionamento speculare si ascolta in casa del Pdl. «Nel momento in cui forze politiche che hanno fatto proposte alternative agli italiani si uniscono in un patto di governo e di maggioranza, bisogna tenere la fronte alta e dire perché, spiegare perché», ripete Brunetta. Ma i due partiti restano compatti, e il segreto dell’urna non tradisce la scelta di Napolitano. Piuttosto entrambi perdono per strada i rispettivi alleati. Sel scende dal vagone del Pd, con uno spirito critico per l’abbraccio con Berlusconi, definito «un peccato originale» da Vendola. Il Carroccio, invece, si astiene. Il suo leader Maroni apprezza il discorso del premier: «Bene Letta anche su Senato delle Regioni e riforma federale da attuare con la Convenzione entro 18 mesi. La Lega sarà protagonista», dice il governatore lombardo.E resta sullo sfondo il no determinato dei grillini. Il Movimento 5 stelle non si «mescola», ma resta a guardare attento: «Noi voteremo favorevolmente quei provvedimenti utili per il bene comune. Faremo un’opposizione seria, costruttiva e propositiva. Il nostro non è un "no" a priori», scandisce guardando Letta il vicecapogruppo Riccardo Nuti.