«Siamo docenti precari abilitati, con un’età compresa tra i 35 e i 55 anni, con uno stipendio di 1.200 euro al mese e, se non vogliamo perdere il lavoro, dovremo accettare una deportazione di massa, lasciando le nostre famiglie, i nostri figli non si sa per quanto tempo». È accorato (quasi disperato) l’appello a Papa Francesco di un gruppo di insegnanti precari, che temono di essere costretti a trasferirsi a seguito del piano di assunzioni della Buona scuola. «Il ministero ci propone un viaggio al buio», scrive Maria Grazia Nicotra, che rilancia: «Non si può chiedere di rinunciare alla propria dignità di insegnanti, di esseri umani, sacrificando i nostri affetti al lavoro, in cambio di uno stipendio. Questa legge lede i diritti della famiglia e renderà infelici e frustrati non solo insegnanti, ma anche i loro figli e i loro cari». «Tutto questo è inaccettabile» anche per Alessandra Fiumara, «precaria nella scuola primaria da 26 anni», con un marito malato e un figlio disabile al 100%. «Non pretendo la scuola sottocasa ma almeno di restare in provincia», scrive la docente che, a 52 anni, si potrebbe ritrovare «con le valigie in mano». Il pensiero di lasciare le figlie piccole sta «logorando» la serenità familiare di Claudia Desole, docente sarda di scuola primaria, ormai «disperata», che ha inoltrato domanda pur sapendo di andare incontro a un futuro incerto. Non se l’è sentita, invece, Daniela D., vedova da tre anni che ha preferito non presentare domanda, rischiando così il precariato perenne, per non destabilizzare ulteriormente la vita della figlia. «L’incertezza sulle sorti di tutti mi ha messo profondamente in crisi – dice sconfortata – facendomi piombare nello sconforto più totale». Anche Maria De Martino, precaria iscritta nelle Gae da 25 anni, ha scelto di non presentare domanda per non essere costretta a lasciare la madre malata di tumore. «Non siamo marionette – scrive al Papa – abbiamo una dignità e soprattutto dei valori che non si possono calpestare così». Concetto ribadito da Francesca S., insegnante di Venezia e precaria da quindici anni: «Mi sento come una pedina che viene spostata a piacimento senza poter scegliere». «Se il prezzo da pagare è lasciare la famiglia – le fa eco Antonella Negro – allora sarò una madre disoccupata ma sempre accanto ai suoi bambini».