Da quando la brutta vicenda che ha coinvolto il maresciallo Massimiliano Latorre e il sergente Salvatore Girone ha preso avvio, abbiamo assistito al puntuale realizzarsi delle più fosche previsioni. Una volta che la petroliera italiana è stata attirata a terra con l’inganno (oltre che grazie alla colpevole negligenza del comandante e dell’armatore, ai quali dovrà pur essere chiesto conto del proprio operato), i due fucilieri del Reggimento San Marco sono stati interrogati, quindi trattenuti, poi fermati e ora arrestati e spediti in carcere. Il governo italiano, probabilmente nella consapevolezza delle poche contromisure concrete a disposizione, ha deciso di perseguire la via del dialogo e del basso profilo. Alla luce degli sviluppi della situazione, però, non vorremmo che, così facendo, abbia involontariamente concorso a consentire una duplice erronea interpretazione delle proprie scelte. Da un lato, si è lasciato che l’opinione pubblica italiana si cullasse nell’illusione che, dietro le quinte, una soluzione fosse a portata di mano e che non fosse il caso di cercare il suo sostegno attivo a favore della liberazione dei due marò. Dall’altro, le autorità politiche e giudiziarie indiane possono essere state indotte a credere che con Roma fosse possibile prendersi quelle libertà che con altri sarebbero state semplicemente inimmaginabili. Bene ha, dunque, fatto la Farnesina ad assumere una posizione severa, con una nota ufficiale consegnata all’incaricato d’affari indiano a Roma, che definisce «inaccettabile » l’incarcerazione dei due nostri connazionali. Lo scopo è avvisare l’India che si è andati oltre il tollerabile e che scambiare la disponibilità italiana al dialogo per arrendevolezza è un grave errore. Per chiamare le cose con il loro nome, il provvedimento adottato nei confronti dei due marò italiani, in spregio a ogni norma di diritto internazionale, si configura come un vero sequestro di persona, un atto di pirateria analogo a quelli che La Torre e Girone stavano contrastando. Anche se non possiamo e non dobbiamo dimenticare i due pescatori, vittime innocenti di un episodio ancora tutto da chiarire. È giunto quindi il momento di esercitare ogni forma di pressione possibile sull’India, affinché i due nostri connazionali siano riconsegnati alle autorità italiane, le sole competenti a giudicarli. A tale scopo è opportuno, sempre che non sia già stato fatto, muoversi rapidamente per attivare la solidarietà di quei Paesi alleati che possano avere un’influenza maggiore della nostra presso il governo di Delhi. A cominciare dagli Usa, che da anni hanno dichiarato apertamente di voler fare dell’India «la Gran Bretagna dell’Asia», allo scopo di contenere la crescita di influenza cinese nella regione. Più in generale, bisognerebbe esplicitare in tutte le sedi internazionali possibili che un Paese come l’India, che si ritiene idoneo ad ambire un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, deve saper nutrire e mostrare maggior rispetto delle norme del diritto internazionale e maggior responsabilità nell’evitare di alimentare l’isteria di un’opinione pubblica interna che dovrebbe avere ben altre preoccupazioni (corruzione, nepotismo, violenza interetnica e interreligiosa, tradizioni discriminatorie) che non quella di mostrare i muscoli nei confronti dell’Italia. Per quanto riguarda la nostra opinione pubblica, occorre che anch’essa si senta mobilitata nello sforzo di salvare La Torre e Girone, affinché sia chiaramente percepibile a Nuova Delhi come a chiunque, che questo è l’obiettivo condiviso di tutto un Paese e non solo del governo e delle istituzioni. In una società aperta, d’altronde, non è certo il governo che può giocare la partita principale, ma piuttosto sono i media e la società civile, nelle loro molteplici articolazioni, che devono sentirsi impegnati e coinvolti. La mobilitazione dell’opinione pubblica italiana è stata richiesta e ottenuta per il salvataggio dei tanti cooperanti sequestrati in questi anni: dall’Iraq all’Afghanistan, dal Nordafrica allo Yemen. Per ragioni puramente umanitarie, essa diede il suo generoso sostegno perfino alla causa della liberazione del caporale israeliano Shalit, rapito dalle formazioni di Hamas, avvenuto nell’ambito di un rapporto di reciproca e aperta ostilità. Non è possibile che la vita del maresciallo La Torre e del sergente Girone per i nostri media, i nostri sindaci e i nostri
maître-à-penser valgano di meno. Senza verità sui fatti e senza rispetto della legge internazionale e del buon diritto non può esistere giustizia. Ed è giustizia quella che va fatta, non vendetta.