La sentenza con la quale la Consulta ha dichiarato illegittimi alcuni articoli della riforma Fornero sulle pensioni rischia di avere l’effetto di una bomba a grappolo, con alcuni esiti dirompenti immediati e altri ad esplosione ritardata. Con il rischio concreto che – se non venisse interpretata per ciò che veramente significa – anziché sanare un’iniquità finirà per produrne una diversa e forse maggiore.Secondo la Corte, infatti, è incostituzionale bloccare l’adeguamento delle rendite alla crescita dell’inflazione, così come aveva deciso il governo Monti nel 2011 per tutti gli assegni nella parte eccedente i 1.500 euro lordi. La motivazione è che va tutelato «l’interesse dei pensionati alla conservazione del potere d’acquisto delle somme percepite», posto invece in discussione o meglio «irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate», come si legge nella sentenza. Con ciò «intaccando i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale... fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento, inteso quale retribuzione differita (art. 36 Costituzione) e l’adeguatezza (art. 38), oltre ai principi di solidarietà (art. 2) e di eguaglianza sostanziale (art. 3). In effetti è indiscutibile che la decisione presa a suo tempo sia stata arbitraria e piuttosto drastica, fissando il limite oltre il quale furono bloccati gli aumenti a un livello piuttosto basso: appena 3 volte la pensione minima. Così infatti si è colpita una platea assai vasta, circa 6 milioni di pensionati, ai quali lo Stato ha "trattenuto" ad alcuni poche decine, ad altri qualche centinaio di euro nel 2012 e 2013. Il primo messaggio che emerge dalla sentenza della Consulta è dunque che le "pensioni non si toccano". O meglio non si possono toccare quelle modeste e quelle diciamo "medie", visto che in precedenza un’analoga operazione condotta dal governo Prodi sui trattamenti pari a 8 volte il minimo era stata ritenuta legittima dalla stessa Corte costituzionale. Soprattutto non si può far conto sempre sui redditi appena superiori al minimo, considerandoli una sorta di bancomat nella disponibilità dello Stato. E questo pone una seria ipoteca sui progetti di nuovi prelievi o di revisione dei trattamenti pensionistici – magari anche non corrispondenti ai contributi versati – che pure sono stati più o meno evocati nelle ultime settimane dal nuovo presidente dell’Inps. Almeno per quanto concerne gli assegni più bassi e quelli medi, la grandissima parte considerando che i due terzi dei trattamenti è inferiore ai 750 euro al mese e che le rendite oltre i 3mila euro (6 volte il trattamento minimo) riguardano poco più di 900mila persone, il 5,5% dei pensionati.Fin qui gli effetti a lunga distanza. Ma la sentenza rischia di far esplodere nell’immediato i conti pubblici, minando il già fragile quadro disegnato con il Def e facendo saltare le residue speranze sul cosiddetto "tesoretto", la disponibilità cioè di 1,5 miliardi di euro che sarebbe dovuta emergere utilizzando uno scostamento dello 0,1% di deficit sul Pil. Se infatti – come appare da una prima lettura della sentenza – ai pensionati andranno restituiti gli adeguamenti all’inflazione non versati, si aprirebbe la necessità per il governo di trovare almeno 5 miliardi di euro, senza contare gli effetti progressivi sui prossimi anni. E anche nell’ipotesi che l’esecutivo proceda a una rimodulazione della norma (alzando il limite ad esempio a 6 o 8 volte il minimo) una parte di questi soldi andrebbe comunque trovata.Il rischio è allora che saltino per l’ennesima volta gli interventi a favore dei più poveri, degli incapienti e delle famiglie che – pur non ancora concretizzati – sembravano però finalmente essere qualcosa più di un semplice slogan, di una mera ipotesi. Il rischio, come scrivevamo all’inizio, è che per sanare un’iniquità nei confronti dei pensionati a medio reddito se ne compia un’altra più dolorosa ai danni dei più poveri e dei più trascurati, negando loro per l’ennesima volta l’attenzione che meritano. Perciò è necessario badare a schivare le mine nascoste nel terreno da questa sentenza, leggendone correttamente la "mappa dei valori" che la sostanzia. Quella che indica come siano da preservare i principi di eguaglianza sostanziale e di solidarietà. Quegli stessi fondamenti che impongono di cercare le risorse necessarie in maniera «proporzionale e progressiva» alle possibilità di ciascuno, di eliminare gli sprechi e razionalizzare gli sconti fiscali accordati a imprese e cittadini. Ri-costruendo un’equità effettiva tra i cittadini, che non può fermarsi al solo adeguamento delle pensioni all’inflazione.