Il nostro è un tempo complicato, duro e bello come ogni tempo, distrattamente ingiusto o acutamente consapevole come nessun altro tempo prima. Proprio per questo tutti noi abbiamo bisogno di vera saggezza, quella che si esprime con parole semplici e chiare e che s’inchina al vero bene. Papa Francesco ci sta offrendo le une e l’altro con dolce e travolgente intensità. Ieri una limpida voce di donna si è come aggiunta alla sua, per illuminare un importantissimo spicchio di vita e di verità in questo nostro tempo. Una voce commovente, indimenticabile. Originale e bella come possono esserlo i pensieri voraci degli adolescenti, matura come il dolore provocato dalla sopraffazione e dall’odio, scintillante come ogni “no” all’ingiustizia e all’ignoranza. È la voce di Malala Yousafzai, pachistana, sedici anni compiuti proprio ieri tra dovere e festa. Una festa che non avrebbe dovuto vivere perché i taleban – coloro che nella sua terra sono gli strumenti del fondamentalismo islamico – la volevano morta. Le hanno sparato in testa per fermarla e per fermare tutte quelle come lei, le donne “che studiano”, che crescono, che a ogni latitudine costruiscono – con gli uomini e mai meno degli uomini – un tempo nuovo, meno ingiusto e più umano. Le hanno sparato – inutilmente, grazie a Dio – per cancellare la sua voce, la sua memoria, la sua istruzione, il futuro che rappresenta. E lei, invece, ieri era a New York. E ha parlato senza odio davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Ha parlato da persona tutta intera, da cittadina di un Paese e del mondo. Da donna, che sarà madre e tante altre cose nella sua vita. Senza paura, scorgendo e denunciando serenamente in faccia ai potenti della terra la paura cattiva e perdente di quegli altri. Era la sua festa, ma è a noi tutti che Malala ha fatto un dono.