«Tutti a casa dalla «mamma». Così, tra il faceto e lo sprezzante, qualcuno ha voluto sintetizzare il risultato elettorale tedesco. Non solo perché Angela Merkel ha rivelato in campagna elettorale le discussioni con il marito sulle guarnizioni dei dolci che cucina o perché ha ammesso di non sentirsi abbastanza sicura da guidare l’automobile, malgrado abbia la patente. Ma anche per il messaggio rassicurante e inclusivo che ha continuato a proporre sul fronte interno. La placida immagine domestica, in realtà, mal si addice a una donna che punta a superare il record al potere di Margaret Thatcher e che non ha nemmeno figli. La cancelliera che dice sempre no al tavolo europeo, che si impunta sul rigore dei conti degli altri, che non fa concessioni potenzialmente invise al suo elettorato è una leader pragmatica, al volante di una macchina potente e affidabile, che ha superato tutte le insidie poste sul suo percorso dalla crisi mondiale di questi anni.
La maggioranza relativa dei tedeschi ha scelto di continuare sulla via conosciuta, con un pilota prudente ed esperto. Sappiamo noi italiani, o almeno lo predichiamo in pubblico, quanto la stabilità sia importante e quanto poco lontano portino trattative estenuanti, minacce di rottura, risse e accordi sempre in bilico. La cultura politica della Germania gode di un’altra e più "grigia" tradizione. Anche quando si tratta di dare vita a una "grande coalizione", come sembra debba accadere pure in questa legislatura, a dispetto del trionfo di Cdu-Csu. Avventure o colpi di testa non sono nelle corde dell’elettorato tedesco del dopoguerra: lo dimostra l’insuccesso del partito anti-euro, rimasto fuori dal Parlamento con la sua campagna isolazionista. Il messaggio europeista delle formazioni storiche ha avuto la meglio per la sua dose di realismo (la moneta unica ha avvantaggiato il Paese), rafforzato dal fatto che la rigidità delle politiche fiscali e monetarie è garanzia soprattutto per Berlino, e nessuno – socialdemocratici compresi – è disposto a rinunciarvi. Chi sottolinea che la Germania dell’era Merkel non è esente da problemi sociali – frutto per esempio degli impieghi a basso salario – dimentica che la scelta nelle urne si compie tra i contendenti effettivamente in campo e non tra candidati ideali. La cancelliera uscente ha saputo proseguire e rafforzare un assetto economico che dà spazio alle energie del mercato senza sacrificare le sicurezze del Welfare e la coesione interna. Piuttosto, dall’esterno le si può rimproverare di avere affrontato tardivamente emergenze comunitarie per cui la Germania, da principale attore continentale, era ed è chiamata a una responsabilità speciale. Avere fatto scendere con il contagocce gli aiuti alla Grecia è stato probabilmente uno sbaglio nella prospettiva globale, ma un forte vantaggio per la propria rielezione.Pensare che un’alleanza con la Spd, in posizione di notevole debolezza, induca i cristiano-democratici a cedere sul rigore sarebbe una pericolosa illusione. Merkel è una sincera europeista – come lo sono altri statisti che hanno visioni diverse – e la sua vittoria costituisce una diga alla deriva populistica e disgregatrice che potrebbe abbattersi sul prossimo Europarlamento con il voto della primavera 2014. La cancelliera è la comoda testa di turco di chi non vuole fare la fatica di costruire un’Europa che qualche volta chiede di fare i "compiti a casa". Se però Angela Merkel vorrà entrare nella storia, non solo del proprio Paese, ha l’occasione nel suo terzo, e probabilmente ultimo mandato, di dare una scossa propulsiva anche alla Ue. Con meno oculato pragmatismo e più visione, meno austerità e più sforzi per la crescita (che in molti Paesi vuole dire soprattutto disoccupazione). Le "mamme" sanno bene quando è il caso di osare per il bene comune.