Caro direttore, Avvenire continua a dedicare ampio spazio alle problematiche di natura bioetica, cogliendone di volta in volta l’attualità e la rilevanza che presentano. Di questo credo che tutti i lettori siano particolarmente grati, per la tempestività con cui è possibile seguire il dibattito anche a livello legislativo, per la chiarezza e l’oggettività con cui vengono affrontato i temi e per l’incisività dei giudizi. Che hanno il grande merito di sottrarsi all’ambiguità, senza temere critiche da parte di nessuno. Anche di questo coraggio siamo grati.Le scrivo perché venerdì scorso Avvenire con l’editoriale di Francesco Ognibene e l’articolo di Pierluigi Fornari è tornato a ragionare di legge 40, anche in relazione alla relazione presentato il 10 luglio alla Camera dal ministro Balduzzi. Mentre in sede di cronaca si sottolinea il fatto che dall’entrata in vigore della legge siano cresciuti sia il numero delle coppie che ha fatto ricorso alla PMA, sia il numero di gravidanze che di bambini nati, in sede di commento si reclama con urgenza il varo delle nuove linee guida. Con una certa ironia il titolo dell’editoriale recita: «Scongelare le linee guida», facendo riferimento alla crescita esponenziale con cui si stanno moltiplicando gli embrioni congelati. Ed è su questo paradosso che vorrei soffermarmi, perché non c’è dubbio che fin dalla sua approvazione la legge 40 è stata costantemente sotto attacco, tanto più dopo il famoso referendum del 2005, quello che ne confermò la validità a poco più di un anno dalla sua approvazione. Si tratta di una legge contestata senza essere stata neppure verificata e in un certo senso “perseguitata” nonostante i buoni risultati che continua a produrre e che migliorano anche in conformità con i progressi tecnico–scientifici che fanno i centri specializzati. Il tema degli embrioni congelati in costante aumento preoccupa quanti riconoscono nell’embrione l’inizio della vita di un soggetto umano. Ci sembra che sia una grave contraddizione non solo con quanto afferma l’articolo 1 della legge 40, ma anche con quanto prevede la stessa Convenzione di Oviedo, che voglio ricordare non è ancora stata adeguatamente recepita dalla Stato italiano. Non stupisce quindi che il 24 febbraio di quest’anno il Comitato nazionale di bioetica abbia approvato una mozione che dice: «Preso atto della costante attenzione dedicata dal Consiglio d’Europa a rilevanti questioni di carattere bioetico che riguardano la tutela dei diritti umani nel settore della biologia e della medicina, così come stabilito dalla Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina (denominata anche Convenzione di Oviedo), entrata in vigore il 1° dicembre 1999 (…) sottolinea la necessità di procedere al completamento dell’istruttoria per arrivare alla possibilità di rendere pienamente e sotto ogni aspetto operativa la Convenzione di Oviedo». Ora non c’è dubbio che il diritto alla vita costituisca la prima tutela dei diritti umani proprio nel settore della biologia e della medicina. Il 13 gennaio 2012, ben 29 Paesi europei avevano sottoscritto e completato con il deposito degli strumenti di ratifica, l’adesione alla convenzione di Oviedo, mentre gli altri Paesi stanno completando gli atti necessari alla ratifica nazionale. Rileggere quest’ultima relazione sulla PMA pone ancora una volta una domanda essenziale: siamo davvero tutti uguali davanti alla legge? Sono davvero tutelati i diritti di tutti, soprattutto in termini di diritto alla vita? Forse ripensarlo con i dati scientifici forniti dal Ministero e con l’asciutta eloquenza di una valutazione sia pure rigidamente quantitativa, può aiutarci a riscoprire quel valore di prudenza che la legge conteneva nella sua versione iniziale, e che aveva dettato il limite iniziale a produrre tanti embrioni quanti se ne possono impiantare. La Convenzione di Oviedo in questo caso anticipava la legge 40, faceva riferimento alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e poneva al centro del sistema il diritto alla vita. A questo possono contribuire le linee guida pronte per essere varate.