martedì 2 luglio 2013
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Non nascondiamoci dietro inutili moralismi e non facciamo finta di scandalizzarci: lo spionaggio (si pensi solo all’etimo del termine intelligence, dal latino intelligere, ovvero intus e lègere che significa «leggere dentro») esiste da quando esiste l’uomo. Forse anche Senofonte, l’autore dell’Anabasi e della Ciropedia, a suo modo era una spia prima di Atene poi di Sparta. Chi è nato nella seconda metà del Novecento ricorderà come la guerra fredda sia stata il bacino di coltura e una palestra ineguagliabile per tutte le spie del mondo nella ricerca spasmodica di informazioni fra le due superpotenze. Nulla da ridire, in proposito, l’interesse nazionale prevaleva su ogni altra considerazione, in ossequio a un detto – un aforisma quasi – che si vuole rimbalzi da Von Clausewitz a Napoleone, da Talleyrand fino a Henry Kissinger: «Una nazione non ha mai amici o nemici stabili, ma soltanto interessi permanenti».Lo scandalo che il cosiddetto "datagate" (le rivelazioni del tecnico a contratto della National Security Agency americana Snowden circa la massiva opera di intercettazione effettuata da Stati Uniti e Regno Unito nei confronti non solo delle nazioni concorrenti, ma anche degli alleati della Nato e dei partner europei) sta suscitando in tutte le cancellerie non è, volendo semplificare, che una perversa estensione di quel principio: si spia chiunque e comunque, amico o nemico che sia, perché le informazioni sono vitali per la sicurezza di ogni nazione.Ma qui s’insinua un distinguo solo apparentemente sottile, che a ben guardare svela invece un abisso etico-politico nel quale in questi giorni l’opinione pubblica mondiale si specchia con sgomento. Intercettare dati e comunicazioni dei comuni cittadini, monitorarne i consumi, gli spostamenti, le scelte ideologiche, le risorse bancarie, le preferenze affettive, religiose, ideali è a tutti gli effetti un’intrusione nelle libertà individuali che può essere giustificata solo da uno stato di eccezione, come ad esempio la lotta al terrorismo: una sorta di consapevole e temporanea (anche se forzata) cessione di sovranità – la stessa che nelle democrazie moderne, Montesquieu e Max Weber insegnano, avviene affidando allo Stato il monopolio della forza legittima – motivata dall’emergenza.Ma ascoltare sistematicamente – sempre che sia vero – le telefonate di un premier, intercettare le comunicazioni riservate di un generale di corpo d’armata alleato, disporre "cimici" e grandi orecchie nei muri di un’ambasciata amica come se ancora esistesse la Cortina di Ferro, moltiplicare la sorveglianza elettronica estendendola all’ambito economico, commerciale e ai segreti industriali non appartiene più alla lotta al terrorismo, ma semplicemente all’antica arte dello spionaggio. Un’arte praticata di comune accordo – e grazie ad accordi tuttora in vigore – da Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda: ovvero dal mondo anglosassone erede dell’impero britannico e dalla superpotenza americana, in una trasparente riedizione globalizzata della Dottrina Monroe, che rivendica la supremazia americana sul mondo occidentale e la fraterna vicinanza di interessi con l’Inghilterra.Non un bello spettacolo, a quanto si vede e a quanto si sa. Lo testimonia l’incipiente imbarazzo del segretario di Stato americano John Kerry, in queste ore trafitto da decine di perentorie richieste di chiarimenti dalla Francia, dalla Germania, dall’Unione Europea, oltre che da un risentimento crescente da parte del Vecchio Continente. «Tutti i servizi di intelligence, compresi quelli europei, cercano di capire quello che succede nelle capitali del mondo attraverso fonti non giornalistiche», si affretta a dire Obama, promettendo risposte esaurienti. In realtà il peggiore dei peccati nel galateo dello spionaggio è già stato irreparabilmente commesso: quello di farsi cogliere in flagrante. «Si fa, ma non si dice», commentavano pochi giorni fa a Bruxelles alcuni imbarazzati diplomatici di lingua inglese. Che già si domandavano se per ventura non fossero stati abbondantemente intercettati anche loro. Non si sa mai.
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