Lavoro e dignità: questo il binomio che ha guidato fin da subito il magistero di papa Bergoglio. Binomio che, nella lettera enciclica, si concreta nel rapporto tra persona e realtà attraverso la dimensione soggettiva e relazionale del lavoro. La dignità nasce e si sviluppa nel rapporto dell’uomo con l’ambiente che lo circonda, e il lavoro è la dimensione che, più di tutte, lo consente o anche, a seconda delle circostanze, rischia di calpestarla e negarla. L’apparente ordinarietà di questa affermazione appare rivoluzionaria se paragonata alla quasi totalità degli aspetti che caratterizzano il dibattito politico e spesso anche sindacale sul lavoro. Lungi dal ridurre il suo significato o peggio renderla un concetto astratto, questa idea del lavoro sottesa al ragionamento del Papa apre a numerose dimensioni relazionali oltre a quella economica e di scambio: la creatività, la proiezione verso il futuro, lo sviluppo delle capacità e la valorizzazione dei talenti, l’esercizio quotidiano dei valori, la comunicazione con gli altri sino ad arrivare a un atteggiamento di adorazione e contemplazione nel reale.
Il lavoro, ci ricorda papa Francesco, è insomma molto di più di una necessità per garantirsi la sopravvivenza e mantenere, con la propria fatica, se stessi o una famiglia. Ecco perché, sottolinea, anche l’aiuto ai poveri con somme di denaro può essere utile in momenti di emergenza, ma non può essere mai sostitutivo del diritto a un lavoro decente. Perché solo il lavoro concorre a restituire la dignità alla persona che l’ha persa, riconsegnando con essa all’uomo il proprio rapporto con il reale. Il diritto alla occupazione è così un diritto primario, a partire dal quale deve orientarsi tutta la discussione sul cambiamento in atto nelle imprese e nel mercato del lavoro. Provocazione che a qualcuno potrà sembrare scontata, ma che è sistematicamente relegata ai margini di un dibattito ancora tutto ideologico e che pare voler contrapporre impresa e lavoratore, che al contrario sono alleati nella dimensione relazionale della costruzione quotidiana del bene comune attraverso il lavoro.
Proprio l’insistito accento sulla centralità della persona porta papa Francesco ad ampliare il contesto di riflessione sul lavoro contemporaneo, delineando un vero e proprio manifesto del futuro del lavoro che ancora non emerge dai progetti nazionali di riforma delle regole del lavoro. Ambiente, demografia e tecnologia: sono queste le determinati del lavoro visto nella sua dimensione soggettiva e relazionale, che la prospettiva economicistica ancora sottovaluta o anche utilizza a danno della persona. Ambiente, demografia e tecnologia rappresentano cioè la vera frontiera del lavoro contemporaneo, lungo la quale si sta giocando la sua trasformazione, spesso sotto gli occhi distratti di osservatori incapaci di delineare una visione e una prospettiva di futuro. In un contesto dominato da un dibattito stantio sulle mille sfumature della subordinazione (in termini di poteri, sanzioni, controlli), che ancora rievoca scontri novecenteschi, papa Francesco ci obbliga ad allungare lo sguardo oltre i limiti di muro mentale che le moderne evoluzioni tecnologiche e sociali hanno già abbattuto. E questo sguardo nuovo non può che ripartire dalla persona stessa che in quanto soggetto e non oggetto del lavoro ne è anche profondamente responsabile.
Emblematico è il discorso sulla tecnologia, che non risponde a logiche automatiche o autoregolate ma che è prodotto della creatività e del genio umano volto a costruire strumenti utili al lavoro e al benessere della società. Così la diffusione di tecnologia che sostituisce massicciamente il lavoro diventa una chiara scelta dell’uomo, non un processo inarrestabile. Non un fine a cui tutti siamo destinati, ma una strada tracciabile e regolabile. E lo stesso vale per i cambiamenti demografici e il rapporto con l’ambiente che, non di rado, vede nell’impresa e nel lavoro non un ambito di creazione ma semmai di distruzione delle risorse a danno dei più deboli e dei bisognosi.
Spunti questi che possono contribuire ad una nuova primavera del lavoro e della persona, nel suo rapporto con l’ambiente, con la tecnica e con i suoi simili. Infatti, il torto più grande che potremmo fare all’appello di papa Francesco è pensare che non contenga altro che utopistici appelli morali e irrealistici modelli di azione come non pochi economisti si sono subito affrettati a sostenere. Per non cedere a questa tentazione bisogna rendersi conto che nella nostra epoca non bastano più tecnici e burocrati per orientare gli scenari futuri. Lavorare insieme per leggere la complessità che ci circonda, unendo sforzi e prospettive, è il prossimo passo per chi ha a cuore il futuro del lavoro.