Ci chiediamo spesso se esiste davvero una cittadinanza europea o no. Non se vi sia da qualche parte una definizione formale (quella c’è, è nell’art. 17 del Trattato di Maastricht, però con rango basso, di complemento) ma nel senso sostanziale di una nostra appartenenza identitaria, noi gente di 27 Paesi senza patria comune. A lungo abbiamo cullato il sogno di un’Europa unita, lungo il cammino e la fatica di smorzare i particolarismi, gli inciampi d’orgoglio nazionale, lo scetticismo, i ripieghi. Dal traguardo ancora ci separa una distanza che mette a prova la tenacia di credere che là ci conduce il destino, la speranza investita. E per giunta, se intendiamo per cittadinanza non soltanto l’appartenere a un insieme che dispensa diritti, ma il contare qualcosa, e l’esser dunque "sovrani" per qualche sfumatura di potere condiviso, l’emozione è desolata: l’Europa dei Paesi democratici è in deficit di democrazia. C’è l’Europa dei mercanti, l’Europa dei banchieri, e quella delle lobby e dei poteri forti; l’Europa dei cittadini, dei popoli fratelli, della casa comune, è un approdo non ancora raggiunto. Dall’umiliazione ci può trarre fuori, almeno un poco, una novità normativa. Entra in vigore proprio domani un Regolamento (n. 211/2011) che disciplina la «iniziativa dei cittadini» introdotta a suo tempo dal Trattato di Lisbona. Se si mettono insieme almeno un milione di cittadini di almeno sette Stati membri, possono presentare alla Commissione una richiesta specifica: quella di proporre «un atto legislativo dell’Unione, ai fini dell’applicazione dei trattati». Non è una pura «petizione», destinata a marcire nei cassetti. È un diritto di rango analogo a quello che ha il Parlamento (art. 225) e il Consiglio (art. 241) secondo il Trattato. La Commissione, entro tre mesi dal termine di raccolta delle firme, dovrà obbligatoriamente dare risposta.Ma che cosa giungerà dalla base popolare verso i vertici delle istituzioni europee? In questi giorni si annuncia dall’Italia e da Bruxelles, quale prima esperienza assoluta di questa prova nuovissima di democrazia, l’iniziativa ideata dal deputato europeo Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita italiano, d’intesa con altri esponenti dell’Unione, costituiti in Comitato. Il tema è quello della vita. È la dignità e il diritto alla vita di ogni essere umano, fin dal concepimento. La speranza di questo infaticabile tessitore di iniziative a favore della vita, anche sul piano normativo (che ha dato preziose ricadute giurisprudenziali), e l’impegno del Movimento per la vita in Italia e nei vari Stati sono di raccogliere molto più del milione di firme necessarie, e di coinvolgere tutti i Paesi dell’Unione.Una parola nuova, gemmata fra le parole classiche in uso nell’Europa «dei valori», è il concepito come «uno di noi». Quante volte nei Trattati si parla di dignità e di diritti umani; è giusto dire ora per esplicito l’identica appartenenza, per la vita nascente. È infatti la visione antropologica della vita umana ciò che caratterizza la civiltà, o segna il tramonto dell’umanesimo in una cultura ostile. E’ in corso una grande prova.Per i cristiani c’è qualcosa di più. È un recupero possibile di quelle «radici d’Europa» sin qui neglette, delle ragioni antiche e nuove della fede della sua gente. Lo sguardo che si volge al concepito in modo evangelico rintraccia quella vicenda divina che ha intersecato la storia umana (e che nel Simbolo di Nicea si esprime proprio in quell’attimo: «conceptus est de Spiritu Sancto»); e subito rammenta ciò che la «Gaudium et Spes» (n. 22) dice del mistero dell’Incarnazione («il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo»). La dignità di ogni uomo concepito, cui è unito il Concepito divino. Una dignità sacra, una intimità ecclesiale. Si capisce che i vescovi d’Europa, riuniti a Bruxelles, abbiano unanimemente deciso di appoggiare l’iniziativa.Ci spetta ora l’impegno di cittadinanza, ciascuno per la sua parte. Contiamoci a milioni. Che bello cogliere insieme, col frutto della nuova democrazia, il frutto della vita.