Per impedire la caduta nelle mani dell’Is della cittadina curda di Kobane, in Siria, la Turchia sembrerebbe pronta a muovere le proprie forze armate. E la cosa appare a prima vista un aiuto di grande importanza per la coalizione guidata dagli Stati Uniti che bombarda incessantemente le milizie del "califfo" al-Baghdadi. Una Turchia che si impegna militarmente nella lotta al terrore jihadista permetterebbe infatti di stringere in una morsa l’Is. Peccato che in pochi, pochissimi, si fidino realmente di Erdogan e della sua politica ambigua e contradditoria. E’ difficile dimenticare come Ankara abbia cavalcato le primavere arabe in modo spregiudicato, per fare del Paese il cardine di un nuovo Medio Oriente legato all’islam politico di cui il presidente turco è rappresentante e sponsor. Per abbattere il regime di Damasco, Erdogan non ha esitato a finanziare e armare i gruppi di ribelli, chiudendo entrambi gli occhi sui traffici lungo le proprie frontiere, divenute una delle vie d’accesso più facili per chi voleva combattere il jihad nel Levante e che i turchi non hanno mai sigillato, nonostante le pressioni ricevute. Troppo tardi, al pari delle monarchie petrolifere arabe, la Turchia si è accorta dei propri errori di prospettiva geopolitica e di come le si stessero ritorcendo contro. Ora è infatti intrappolata in una serie di contraddizioni: molti dei gruppi che ha sostenuto in Siria contro Assad sono passati "armi e bagagli" (in senso davvero letterale) con i terroristi dell’Is, che tiene in ostaggio anche cinquanta diplomatici turchi a Mosul. Combattere le armate del califfo significa di fatto rafforzare il regime di Damasco e aiutare gli odiati curdi del Pkk, che a Kobane lottano strenuamente per impedirne la cattura. Davvero Ankara è disposta ad arrivare al conflitto per soccorrerli, oppure mira a occuparla in funzione anti-curda più che anti-jihadista? E come entrare in una coalizione internazionale di cui fanno parte Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, determinati più che mai a schiacciare i Fratelli Musulmani, che Erdogan in questi anni ha aiutato e che sono così simili a lui? Per il presidente turco è questa forse l’ultima occasione per convincerci che l’Occidente può ancora contare sulla Turchia.