sabato 11 febbraio 2012
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L’ambulanza del pronto intervento sfreccia sulla corsia preferenziale. La sirena ulula. Di giorno. In piena notte. Quante ne abbiamo sentite e viste? Centinaia, eppure ogni volta sobbalziamo. Quella sirena evoca una vita in bilico. Arriveranno in tempo per salvarla? Per vincere la partita contro la morte? Un’altra ambulanza sfreccia. Muta, senza sirena, silenziosa come uno spettro. Un killer letale. Siamo in Olanda – il mese prossimo – e non sappiamo quale simbolo campeggi sulla fiancata. La croce rossa? Piuttosto la Jolly Roger, la bandiera nera con il teschio ghignante e le tibie incrociate. Non sta andando a salvare una vita umana, ma a porvi fine. L’ambulanza letale è pronta. L’associazione Right to Die, nei Paesi Bassi, sostiene di essere stata «costretta» a creare ben sei team specializzati per servire l’eutanasia a domicilio. Accade, infatti, che un medico di famiglia si rifiuti di accogliere la richiesta del proprio paziente e non voglia collaborare al suo suicidio. E la «legittima volontà» dell’individuo di essere aiutato a porre fine alla propria vita? Ecco la soluzione: ci sarà l’ambulanza letale. Che corre non per salvare ma per terminare. Impareggiabile icona dei nostri tempi attraversati da un crescente, disperato impulso autodistruttivo, chiamato eufemisticamente «diritto all’autodeterminazione». È anche, se vogliamo, l’apoteosi della consumerist society, la società in cui ogni domanda – ogni capriccio – del cittadino consumatore è legge. Il consumatore va alle merci? Bene. Non può andarci? Saranno le merci ad arrivare da lui. A casa ti consegnano la spesa. E ogni altro bene di consumo. Basta chiedere e pagare, tramite internet o con una telefonata.La morte, in quanto "domanda", assurge alla stregua di una qualsiasi "merce". E la domanda del consumatore, anche del consumatore di morte, deve incontrarsi con l’offerta. Questo è il mercato alle sue estreme conseguenze. Sarà pure il progresso. E saranno reazionari coloro che non riescono a sobbalzare di gioia. Come i medici olandesi la cui Federazione obietta – sono dichiarazioni rese al quotidiano britannico Telegraph – che alcuni aspiranti suicidi «potrebbero essere trattati» e, rendendo loro così semplice l’eutanasia, servendogliela sull’uscio di casa, metterebbero fine alla loro vita «inutilmente». Non è difficile immaginare, infatti, che tra i 2.700 suicidi assistiti, che ogni anno si consumano in Olanda, una buona parte riguardano non ammalati terminali giunti agli ultimi istanti, senza un affetto e per i quali le cure palliative possano risultare vane, ma affetti da depressione acuta. Logica vuole che la domanda di suicidio assistito possa essere avanzata soltanto da chi è nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali. Un depresso acuto può essere considerato del tutto in sé? E che cosa, responsabilmente, devono fare parenti e medici? Assecondare chi non è in sé, o aiutarlo a superare le sue difficoltà, per quanto gravi siano? Domande irrisorie, scrupoli ridicoli per quelli dell’ambulanza che corre silenziosa. La morte a domicilio sarà cantata da alcuni come l’ultima conquista della civiltà. Per altri sarà l’icona macabra di una società occidentale che non solo sta perdendo il gusto per la vita, ma sta prendendo gusto per la morte. Non per sfidarla, come certi temerari (blasfemi) del passato, e irriderla e vincerla. Ma nel senso che la invita a casa sua, le spalanca la porta e la richiude. Per sempre.
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