martedì 18 agosto 2015
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​L’Italia sperimenta come forse mai prima nella sua storia un problema sgradevole e vero. C’è una parte politico-mediatica che sta strumentalizzando il nodo immigrati per finalità esclusivamente propagandistiche, producendo come effetto collaterale l’aumento dell’ostilità e della xenofobia nel nostro Paese. Strumentalizzare, in questo caso, significa fornire, attraverso una scorretta selezione e lettura delle notizie, una percezione (anche statistica) errata del fenomeno. Strategia che potrà anche servire per coltivare una piccola rendita (elettorale) di posizione, macché non tiene conto del fatto che con la xenofobia non si potrà conquistare più del 15-20% dei consensi degli italiani.L’Italia è un Paese complesso. Ma soprattutto, come si più volte scritto e dimostrato su queste pagine, è una nazione «che respira ancora e sempre cristiano». Molti sono credenti e c’è rispetto per il cristianesimo. Di fronte a un problema come quello delle migrazioni forzate per guerra e ingiustizia - problema che investe Vangelo e Costituzione, legge morale e leggi degli Stati - la strategia migliore sarebbe stata quella di riconoscersi (e riconoscerci) ancora inadeguati nelle nostre risposte di fronte ai mali nel mondo e in particolare a quelli della miseria e della violenza che spingono tanti poverissimi a cercare fortuna, attraversando il Mediterraneo. Di fronte a tutto ciò nessuno di noi può dirsi "giusto". Alcuni, invece, hanno scelto la strada impervia dei tentativi di "aggiustare" il messaggio cristiano. Con risultati amari e talvolta anche grotteschi. L’ideale sarebbe stato trovare qualche alto esponente religioso che capovolgesse il principio dell’accoglienza. Impresa impossibile. Il massimo che sono riusciti a trovare è stato un "teocon non credente" che è riuscito a dire che l’accoglienza è roba «da teologia della liberazione». Come se nel Vangelo non ci fosse scritto «ero nudo e mi avete vestito» e «ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». Oppure che ci fosse scritto almeno "...uno solo di questi miei fratelli più piccoli, ma del vostro stesso paese..." . O ancora che vi fosse proposta una qualche parabola dove al povero che bussa alla porta viene risposto: "Non posso aprirti, torna indietro e ti aiuterò a casa tua".

Aiutarli a casa loro, già. Ecco la soluzione geniale. Quasi che nessuno ci abbia mai pensato prima! Chi legge questo giornale, anche ogni tanto, ne sa più di qualcosa... E chi sta scrivendo questa nota, come molti altri suoi colleghi, ha deciso di diventare economista e di lavorare con passione in questo settore proprio per realizzare un tale obiettivo: lottare contro la miseria nelle aree più povere. Ci sono decenni, anzi secoli, di esperimenti, studi, progetti di economia dello sviluppo, riflessioni della comunità credente nelle encicliche sociali. Tantissimi tentativi, qualche successo, molti errori. Ma per fortuna adesso c’è qualche politico nostrano, come il segretario della Lega Nord, che dice che "andrà lì" con qualche amico industriale per vedere di risolvere il problema e, intanto, già dimostra di essersi allineato al "pensiero dominante" citando dicendo come primo problema è il «controllo delle nascite». Cioè prendendosela con chi fa figli...Ma c’è un punto essenziale che va ricordato a chi vuole risolvere la questione "a casa loro". Le migrazioni non sono solo l’effetto del problema (si migra per il gap di benessere e di felicità attesa tra Paese di destinazione e Paese d’origine), ma anche una parte della soluzione. E già, gli immigranti risparmiano quello che possono e mandano soldi "a casa loro" migliorando le condizioni economiche nei Paesi d’origine (per anni, anche gli anni dello sviluppo impetuoso, la bilancia dei pagamenti italiana è stata in piedi grazie a questa voce). Nel 2013 le rimesse verso i Paesi in via di sviluppo erano pari a 404 miliardi e si prevedono 506 miliardi nel 2015. Chi studia questi problemi sa che le rimesse sono una fonte molto più stabile di risorse degli aiuti allo sviluppo statali e rappresentavano nel 2013 un ammontare equivalente al 30% delle esportazioni in 30 Paesi poveri.Ancora un piccolo dato. Nel 2014 il saldo tra nati e morti in Italia è stato inferiore a 100mila persone. Compensato dagli arrivi di stranieri. E questo in un Paese dove il rapporto tra popolazione in età da lavoro e popolazione inattiva (bambini e anziani) è, drammaticamente, quasi di uno ad uno. Pur sperando in un’inversione delle dinamiche di natalità abbiamo disperato bisogno di persone che vengono tra noi dall’estero per portare avanti l’Azienda Italia, per darle futuro. Nel breve periodo non saranno l’aumento dei figli italiani (che, se ci sarà, richiederà tempo per trasformarsi in aumento di forza lavoro) o i nonni riservisti richiamati al lavoro a far crescere il nostro Paese. Saranno quegli stranieri che vengono, purtroppo, dalla miseria del dollaro al giorno, dalle guerre e dalle persecuzioni e che considerano comunque un miglioramento iniziare da noi guadagnando l’equivalente di 3-4 dollari nelle filiere agricole sperando poi di migliorare, progressivamente, la loro situazione nel tempo. È questa l’economia e la società in cui viviamo e non lo strano film che alcuni media e alcuni politici raccontano.In conclusione, e ci dispiace per chi pensa di poter spacciare come verità il contrario, le migrazioni sono essenziali per aiutare "loro" in casa loro e noi in casa nostra. Chiarito una buona volta questo punto, sarebbe bello cominciare finalmente a discutere insieme, di come distribuire i flussi tra i Paesi europei, minimizzare le morti e le altre terribili conseguenze delle tratte di esseri umani. Chiudendo la "fabbrica della paura".

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